Capitalism: A Love Story - di Michael Moore 2009
Giudizio sintetico: da vedere
Il ragionamento, contenuto nel sito ufficiale, non fa una grinza, ed è piuttosto semplice. A 20 anni di distanza dal suo primo docu-film Roger & Me, Moore, che ha se non inventato, messo a punto un nuovo modo di fare cinema e informazione militante insieme, allarga l'obiettivo. Non c'è più solo un'azienda e il suo modo di mettere in ginocchio un territorio, con la sua assoluta mancanza di scrupoli. Adesso, in gioco c'è l'intero sistema capitalistico, e la crisi ancora in corso offre il fianco per una spietata critica. Gli USA, e con loro tutti quei paesi che ne seguono le orme (ma, curiosamente, Moore ci immagina al fianco di Germania e Giappone in uno sviluppo molto lontano da quello statunitense, soprattutto perchè possediamo una Costituzione moderna, e qui vi lascio il tempo di ridere, o piangere, come volete; punto curioso da ricordare a molti che fingono di dimenticarselo: NOI LA GUERRA L'ABBIAMO PERSA!!), hanno in pratica avuto una storia d'amore con il sistema capitalistico, e adesso si stanno lentamente rendendo conto che il capitalismo li ha traditi, e spesso li ha lasciati senza niente.
Moore, forte ormai di una fama mondiale, si spinge ai limiti, le gag ai piedi dei palazzi del potere rasentano il rischio dell'arresto (spettacolare quando recinta Wall Street con la fettuccia gialla che la polizia statunitense usa per recintare la scena del crimine), e come contraltare, le scene di disperazione sono sempre più spietate (famiglie sfrattate da operatori che sono in evidente difficoltà, perchè la loro sorte non è così diversa). Moore non esita ad usare perfino la sua famiglia: porta il padre, ormai molto anziano, ad osservare i cumuli di macerie della fabbrica dove ha lavorato per oltre 30 anni, e gli fa domande su come ci si trovasse.
Come ho già detto in occasione di altri suoi film, sono di parte, dalla sua parte, per cui prendete questa recensione con le molle: non sono obiettivo, soprattutto perchè quando Moore documenta la lotta degli operai (molti dei quali immigrati) di una fabbrica di Chicago, durante l'elezione di Obama, che per non venir licenziati senza indennizzo occupano la fabbrica stessa, mi sono messo a piangere e a singhiozzare come un innamorato appena mollato dalla fidanzata che pensava di sposare, e con la quale aveva già comprato la cucina per la casa nuova.
Non c'è niente da fare: Michael Moore è un idolo assoluto, per chi ancora pensa che l'uguaglianza e il rispetto per la dignità umana, sia fondamentale. Non voglio aggiungere altro: sarebbe tutto superfluo. Andate a vedere Capitalism: A Love Story. Passo e chiudo.
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