La classe – Entre les murs – di Laurent Cantet 2008
Giudizio sintetico: si può vedere, ma riposàti
François Bégaudeau fa l’insegnante di francese; da alcuni anni insegna alle medie in una scuola del ventesimo arrondissement parigino. E’ una brava persona, e crede (ancora) in quello che fa, nel fatto che la scuola sia una palestra di vita e di democrazia, che serva a formare cittadini liberi e pensanti. Per questo, adotta un metodo libero e interessante di insegnamento, lascia spazio alla discussione, agli interventi degli alunni, alla loro creatività, cerca di conoscerli come persone, anche se pretende un minimo di rispetto (alzarsi in piedi, dare del lei). Ma la spavalderia dei suoi allievi e la multietnicità della classe gli creerà non pochi problemi, e rischierà di mettere in crisi le sue convinzioni.
Cantet è un regista che rispetto molto, e del quale mi sono piaciuti i lavori precedenti (soprattutto Risorse umane), attento alle problematiche sociali odierne, e soprattutto al mondo del lavoro. La scuola fa parte di questo (lo vediamo molto bene anche noi in Italia), e l’approccio di questo film è lodevole. Cantet ha tratto spunto dal libro (omonimo in francese, Entre les murs) di Bégaudeau stesso (che mette mano nella sceneggiatura ed interpreta se stesso nel film), e ha lavorato un anno intero tra i muri di una scuola con una quarantina di ragazze e ragazzi dell’età rappresentata nel film, dando loro, pare, quasi carta bianca.
Nonostante il film, Palma d’Oro all’ultimo Cannes davanti a Gomorra e Il divo, abbia intenti alti, possa innescare riflessioni molto interessanti e discussioni infinite, il difetto del film sta dove stava il pregio, per dirne una, dei film di Mike Leigh, e cioè la mancanza di una sceneggiatura ferrea, come accennato poc’anzi, limite, che però si trasformava in genialità, de La schivata di Kechiche, film al quale La classe è stato più volte avvicinato, da diversi critici. La verbosità debordante del film (che ha l’altra colonna portante in una claustrofobia per nulla disturbante e, anzi, molto coinvolgente) parte come un valore aggiunto o come la chiave di lettura di tutto, come il dialogo sull’autoritratto o come l’altro in cui viene fuori che una delle ragazze ha letto di sua sponte La Repubblica di Platone, ma dopo un’ora di film la cosa diventa imbarazzante e, soprattutto, pesante in un modo quasi insopportabile. I problemi escono, si notano, le situazioni diventano comiche (se non fossero in una scuola, però, il che rende la cosa triste), il regista rimane super partes e non prende posizione, la figura di François diventa sempre più impotente e, forse, questa è la conclusione: è lo Stato che deve intervenire, perché l’Istruzione è troppo importante per lasciarla in mano alla buona volontà delle persone. Che poi lo Stato intervenga di solito per fare danni, questo è un altro discorso.
I giovani protagonisti sono più che credibili, le telecamere fanno il loro dovere e la sensazione di documentario è raggiunta, ma il film risulta, come detto prima, appesantito in maniera enorme, il che non giustifica tutta la spinta che ha avuto dalla critica. Potete andarlo a vedere, ma sono certo che uscirete “divisi in due”: buonissime le intenzioni, pessima la realizzazione.
Giudizio sintetico: si può vedere, ma riposàti
François Bégaudeau fa l’insegnante di francese; da alcuni anni insegna alle medie in una scuola del ventesimo arrondissement parigino. E’ una brava persona, e crede (ancora) in quello che fa, nel fatto che la scuola sia una palestra di vita e di democrazia, che serva a formare cittadini liberi e pensanti. Per questo, adotta un metodo libero e interessante di insegnamento, lascia spazio alla discussione, agli interventi degli alunni, alla loro creatività, cerca di conoscerli come persone, anche se pretende un minimo di rispetto (alzarsi in piedi, dare del lei). Ma la spavalderia dei suoi allievi e la multietnicità della classe gli creerà non pochi problemi, e rischierà di mettere in crisi le sue convinzioni.
Cantet è un regista che rispetto molto, e del quale mi sono piaciuti i lavori precedenti (soprattutto Risorse umane), attento alle problematiche sociali odierne, e soprattutto al mondo del lavoro. La scuola fa parte di questo (lo vediamo molto bene anche noi in Italia), e l’approccio di questo film è lodevole. Cantet ha tratto spunto dal libro (omonimo in francese, Entre les murs) di Bégaudeau stesso (che mette mano nella sceneggiatura ed interpreta se stesso nel film), e ha lavorato un anno intero tra i muri di una scuola con una quarantina di ragazze e ragazzi dell’età rappresentata nel film, dando loro, pare, quasi carta bianca.
Nonostante il film, Palma d’Oro all’ultimo Cannes davanti a Gomorra e Il divo, abbia intenti alti, possa innescare riflessioni molto interessanti e discussioni infinite, il difetto del film sta dove stava il pregio, per dirne una, dei film di Mike Leigh, e cioè la mancanza di una sceneggiatura ferrea, come accennato poc’anzi, limite, che però si trasformava in genialità, de La schivata di Kechiche, film al quale La classe è stato più volte avvicinato, da diversi critici. La verbosità debordante del film (che ha l’altra colonna portante in una claustrofobia per nulla disturbante e, anzi, molto coinvolgente) parte come un valore aggiunto o come la chiave di lettura di tutto, come il dialogo sull’autoritratto o come l’altro in cui viene fuori che una delle ragazze ha letto di sua sponte La Repubblica di Platone, ma dopo un’ora di film la cosa diventa imbarazzante e, soprattutto, pesante in un modo quasi insopportabile. I problemi escono, si notano, le situazioni diventano comiche (se non fossero in una scuola, però, il che rende la cosa triste), il regista rimane super partes e non prende posizione, la figura di François diventa sempre più impotente e, forse, questa è la conclusione: è lo Stato che deve intervenire, perché l’Istruzione è troppo importante per lasciarla in mano alla buona volontà delle persone. Che poi lo Stato intervenga di solito per fare danni, questo è un altro discorso.
I giovani protagonisti sono più che credibili, le telecamere fanno il loro dovere e la sensazione di documentario è raggiunta, ma il film risulta, come detto prima, appesantito in maniera enorme, il che non giustifica tutta la spinta che ha avuto dalla critica. Potete andarlo a vedere, ma sono certo che uscirete “divisi in due”: buonissime le intenzioni, pessima la realizzazione.
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