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20081013

marx e la crisi


Il nuovo capitalismo virtuale


La crisi colpisce l'economia reale. L'Islanda rischia la bancarotta. Si teme la recessione. E tornano in mente le previsioni di Marx






Questa settimana in Gran Bretagna i bancomat della Icesave hanno smesso di funzionare. Chi voleva usarli leggeva sullo schermo: "Operazioni di prelievo e deposito sospese".

La Icesave è un istituto controllato dalla Landsbanki, una delle principali banche islandesi. Grazie agli accordi bilaterali tra i due paesi, l'Islanda garantisce i primi 22mila euro depositati sui conti e il governo di sua maestà britannica le successive 50mila sterline.

Il resto, per ora, è finito nel buco nero della crisi. E c'è la possibilità che gli sfortunati risparmiatori non usufruiscano neanche del piano di salvataggio del governo islandese – che si è fatto garante degli istituti di credito del paese – o di quello del governo britannico. Si teme, infatti, che l'Islanda sarà la prima vittima del nuovo 1929, che andrà in bancarotta, e che il sistema bancario britannico crollerà.


Crolla il settore produttivo


L'esperienza dei clienti della Icesave potrebbe ripetersi altrove. La prossima vittima, si mormora, sarà la Royal Bank of Scotland o addirittura Unicredit in Italia. Tutte le banche europee e americane rischiano il collasso e basta poco, anche solo i rumors di mercato, pure e semplici voci, per farle scivolare nell'insolvenza.

I motivi della debolezza del sistema bancario li conosciamo: eccessivo indebitamento per oltre un decennio a causa dei derivati, gli effetti speciali della finanza che hanno falsato nei bilanci il rapporto tra dare e avere. Ma è sorprendente che il piano di salvataggio americano e la decisione dei governi europei di sostenere insieme il sistema bancario del vecchio continente non riescano a frenare la folle caduta dei mercati.

Ogni volta che le azioni perdono quota si brucia ricchezza. In un giorno sono svaniti 1.400 miliardi di dollari, quasi il 4 per cento dell'economia mondiale. Anche se si tratta di ricchezza contabile, l'effetto è dirompente: sale l'indebitamento delle banche che hanno in portafoglio azioni, mutui e prodotti sintetici come le mortgage backed securities, e si rafforza la convinzione che ancora non si è toccato il fondo.

Le pesanti iniezioni di contante, l'interruzione delle contrattazioni della borsa in Russia, Brasile, Indonesia, cioè nelle economie emergenti, la nazionalizzazione delle banche e la stessa garanzia dello stato sono tutte manovre per riportare la fiducia sui mercati e convincerli che il peggio è passato. Manovre che finora non hanno funzionato.

Oggi nessuno vuole fare un'inversione di marcia perché ancor più della crisi finanziaria tutti temono la recessione. E dal cocktail esplosivo di queste due calamità ci si riprende solo dopo anni di povertà. I segni premonitori dell'ubriacatura si vedono all'orizzonte.

Dal fallimento di Lehman Brothers il mercato delle commercial papers, cioè delle cambiali senza garanzia emesse dalle grandi società contro entrate future e usate per operazioni a breve, si è paralizzato. Nessuna banca è disposta ad anticipare il loro valore e chi lo fa chiede tassi proibitivi. Dalla metà di settembre, su questo mercato le banche statunitensi hanno ritirato più di 200 miliardi di dollari e le assicurazioni contro l'insolvenza di chi le emette sono passate da 87 miliardi di dollari a metà agosto a 143 miliardi un mese dopo.

Nel giro di poche settimane la liquidità del settore produttivo americano è crollata e l'industria ne ha risentito. L'indice della produzione industriale a settembre è sceso del 43 per cento: cifre così non si vedevano dagli anni trenta.


Un sistema fondato sul debito


Il governatore della Federal reserve (Fed) ha deciso di fare da agente di smistamento tra banche e società sul mercato delle commercial papers: le banche depositano il denaro nei forzieri della banca centrale e la Fed paga le cambiali del settore produttivo.

Un compito analogo a quello che sta svolgendo per il mercato interbancario. Riuscirà la Fed a sostenere il mercato finanziario e quindi quello produttivo? È l'interrogativo che tutti si pongono.

Un secolo e mezzo fa Karl Marx aveva previsto uno scenario simile: che il sistema di produzione capitalista crollasse a causa dell'eccessiva concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi capitalisti canaglie, che drenavano dall'economia nazionale risorse monetarie.

Marx non poteva certo immaginare che le canaglie fossero i banchieri e che tra le vittime ci fossero gli stessi industriali, privati dell'ossigeno monetario dall'ascesa del capitalismo virtuale postindustriale. Un'ascesa alimentata non dal plusvalore, ma dal debito.

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