Give It A Name 2009 - Taking Back Sunday + Underoath + Thursday + Escape The Fate + Emery + Innerpartysystem + Your Hero, 15 aprile, Bologna, Estragon
Cominciamo con le note frivole e leggere. Immaginatevi un calvo come me al Give It A Name, un mini-festival screamo (nemmeno tanto mini), in pratica, come scrivo nel titolo, il festival dove il 99 per cento dei presenti e delle presenti usa giornalmente la piastra per capelli per lisciarsi il ciuffo. Un albino in Africa, più o meno. Con l'aggravante di avere più del doppio dell'età media dei partecipanti. Sono esperienze.
Per la precisione, non è propriamente un festival screamo, come vedremo, ma intanto era per farvi capire quale tipo di pubblico ha provato a riempire l'Estragon, brutto, caldo come un forno, ma in fondo funzionale e insomma, meno male che c'è e non è così lontano come Milano, per dire un luogo dove spesso devi andare se vuoi vedere dal vivo alcune band non famosissime.
Per dirvela tutta, inoltre, devo rivelarvi che su sette band che si esibiscono oggi ne conosco una solamente, questo per fugare i dubbi di alcuni lettori che potrebbero chiedersi come faccio ad essere così aggiornato (risposta: non lo sono). Per 30 euro, un corso d'aggiornamento rapido a buon mercato. Tra l'altro, a parte l'altissima densità di pubblico femminile, una nota piacevolissima del Give It A Name, ovviamente per me, è l'estrema brevità dei cambi palco e dei set delle band presenti nel bill. Si parte dai 20 minuti delle prime per arrivare ai 45/50 delle più importanti, mai superando l'ora; si comincia alle 18,28, un paio di minuti prima dell'orario previsto, si finisce alla mezzanotte e mezzo precisa. Quasi incredibile, essendo in Italia, ma ricordiamoci che è un festival itinerante, nato in Inghilterra. Andiamo alla fredda cronaca.
Sono con un'amica e un amico. Siamo in anticipo. Ce la prendiamo comoda nonostante io acquisti il biglietto velocemente, e aspettiamo per solidarietà l'amica che è rimasta vittima di un'incomprensione a proposito del suo accredito e sta cercando di rimediare (spassosa la soluzione: da fuori la recinzione che delimita l'esterno del backstage chiama il cantante degli Escape The Fate, si fa mandare uno degli organizzatori stranieri, gli spiega chi è e lui capisce e si scusa mille volte perchè è stata una sua mancanza non averla messa in lista). Il risultato è che ci perdiamo la band di apertura, gli italiani di Roma Your Hero, che si sentono naturalmente da fuori, e si possono etichettare nel filone screamo tendente verso il romantico, seppur con suoni duri e metallici. Prendete il giudizio con le molle, non essendo stato "dentro", ma mi pare non sfigurino. Seguono, dalla Pennsylvania, gli Innerpartysytem, che sanno di inglese, e snocciolano 20 minuti di una discreta idea che congiunge la dance e i suoni elettronici con, appunto, il genere screamo e post-hardcore simile alle band di culto del genere stesso. Formazione a 4 con voce, batteria, tastiere e campionatori, chitarra. Proposta interessante. Dopo di loro ci sono gli Emery, come recita Wikipedia nati in South Carolina ma trasferitisi a Seattle (della serie cosa non si fa per la musica), che possiamo avvicinare alla descrizione che vi ho fatto per gli Your Hero, anche se dal vivo risultano più duri, sono in 5 (chitarra, basso, voce, batteria, tastiere, ma cantano in 4 e spesso il basso passa da Toby a Devin) e risultano un po' indigesti soprattutto per l'eccessiva teatralità (è un eufemismo) del tastierista Josh, che in fin dei conti pesa poco sull'economia della band ma è molto protagonista sul palco, spesso risultando ridicolo.
Arriva il turno degli Escape The Fate, con un seguito abbastanza impressionante, che si entusiasma a partire dalla sistemazione dei teloni con il logo della band. I ragazzi vengono da Las Vegas e sono in 4 da un paio d'anni (voce, chitarra, basso, batteria), dopo la defezione di uno dei chitarristi (nota curiosa: l'amico che era con me afferma di aver visto un secondo chitarrista che, dietro le quinte, ha suonato tutti i pezzi, ma durante gli assoli la cosa non si sentiva assolutamente, la base basso/batteria era assolutamente l'unica cosa che si sentiva oltre al solo di chitarra; mistero) e il cambio di cantante. Ovviamente il genere basilare spero lo abbiate capito, e la variante degli ETF vira verso il metal classico, con largo spazio (appunto) agli assoli di chitarra vagamente maideniani. Li potremmo situare a metà strada tra i My Chemical Romance e i Bullet For My Valentine, facendo un'opera di incasellamento molto grossolana. A me personalmente non piacciono, ma sono giovanissimi e già esperti, tengono il palco con buon piglio e hanno una buona carica. Il tuffo del cantante Craig dalle casse più alte in mezzo al pubblico denota al tempo stesso l'irresponsabilità tipica della giovinezza, unita a una fiducia smisurata nei loro fans. Il pubblico delle giovanissime era qui in buona parte per loro. Il batterista è veramente un buffone, ma suona dignitosamente (anche se fastidiosamente da protagonista, alzandosi più spesso in piedi che stando seduto sul panchetto, stile Lars Urlich).
Ed eccoci ai Thursday, dal New Jersey (come ricorda il cantante Geoff). Sono in 6, con una formazione che è quasi classica per lo screamo, voce, due chitarre, basso, batteria e tastiere (con vari apporti vocali dai componenti). Tra i capostipiti del genere, tengono il palco in maniera egregia con un grande impatto sonoro, e un manipolo di buone canzoni, tra le quali spicca War All The Time, e a questo proposito Geoff si scusa per una parte del popolo statunitense, spiegando che non tutti sono "fottutamente guerrafondai". Anche se in questi ultimi anni l'abbiamo sentita spesso, fa sempre piacere. Tra le band che non conoscevo, senza dubbio sono quelli che mi lasceranno il ricordo migliore.
Eccoci al momento più atteso dal sottoscritto. Avevo ormai perso una o due volte la possibilità di vedere dal vivo gli Underoath, non la volevo perdere ulteriormente. Entra per primo quello che chiaramente è il boss della band, Aaron Gillespie (un nome chiaramente ebreo per una sorta di predicatore cristiano...lasciamo perdere), dopo tutti gli altri. L'impatto sonoro è devastante, la band di Tampa è una macchina da guerra clamorosamente oliata. Guardando la sfilza degli ex componenti (la scheda Wikipedia in italiano a loro dedicata ne conta 11, avete letto bene, undici) si stenta a crederci. Eppure, gli Underoath conservano tutta la (vecchia) carica del death metal e la mettono a "disposizione" della variante dello screamo che hanno abbracciato. Canzoni dalle aperture melodiche fantastiche suonate come una colonna di rulli compressori che schiacciano una serie di ostacoli. Il drumming sincopato e potente di Aaron dirige l'orchestra. Spencer, il segaligno cantante lungocrinito, e Christopher, il corpulento tastierista che pare un po' il fratello ciccio di Aaron, caricano il pubblico a più non posso; Grant al basso e Tim, uno dei chitarristi, sono degli ossessi, corrono per tutto il palco e roteano le loro "asce" in un turbinio senza fine. Leggermente più defilato l'altro chitarrista James. Mancano alcune gemme del passato, ma da sè l'attacco di Desperate Times, Desperate Measures fa crollare metaforicamente l'Estragon.
Non aggiungerei altro, se non che Spencer non si lascia scappare l'occasione di un sermoncino di 30 secondi sull'amore verso il prossimo, anche se si accorge dopo poco che sta annoiando e la chiude lì. Gli inconvenienti di una christian band. Devastanti è l'aggettivo giusto.
Il finale è riservato ai Taking Back Sunday, da Amytiville, Long Island, New York, una scelta che da profano non capisco molto, risultando il loro genere abbastanza fuori schema. Fanno un indie rock molto tendente al classico, e nonostante alcuni critici li accostino ai Fugazi a me più che altro paiono dovere qualcosa agli U2 così come ai Trail Of Dead, con risultati parecchio più semplici. Sono in 5, voce, due chitarre, basso e batteria, e il cantante Adam Lazzara (lo riconosco, durante il set degli Innerpartysystem era al mixer ed è stato super disponibile facendosi fotografare insieme a tutti i e le fans che gliel'hanno chiesto, diverse decine almeno) tiene il palco con maniera e simpatia, ma la loro musica non mi scuote più di tanto, e non mi pare neppure siano tenutari di canzoni da ricordare particolarmente. A metà dell'ultimo pezzo in scaletta raggiungo l'auto e mi preparo per il ritorno a casa con le orecchie che ancora risultano ovattate.
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