Dillinger Escape Plan + Valient Thorr + Fightcast + Amia Venera Landscape + Several Union, 8 luglio 2009, Velvet, Rimini
Se, come dice la loro scheda su Wikipedia, "Sono stati giudicati dalla rivista New Musical Express come "Il Gruppo Più Pericoloso Della Terra", mentre la rivista Kerrang! li ha etichettati come "La Miglior Live Band Sul Pianeta", perchè non fare uno sforzo e provare la traversata della penisola in un mercoledì di luglio, partenza dopo il termine dell'orario di lavoro? E quindi, si va.
Arriviamo tardissimo per inconvenienti vari, e ci perdiamo i primi due gruppi. Il terzo, i Fightcast, anche loro come i primi due, italiani, fanno un onesto emo-core tirato che però non mi appassiona granchè. Dopo di loro salgono sul palco i Valient Thorr, dal North Carolina. Sono in 5, due chitarre un basso un cantante e un batterista, sono sporchi brutti e sembrano cattivi, fanno una sorta di street rock and roll con venature (prepotenti) metal, hanno un bravo batterista e un discreto chitarrista, ma dopo tre pezzi stufano. Si danno però un gran da fare sul palco, questo si.
Alle 23,38 eccoli sul palco. Il primo ad entrare è l'ultimo arrivato in formazione, il nuovo batterista Billy Rymer. Arrivano anche Ben, Jeff e Liam, i due chitarristi e il bassista, per una intro piuttosto lenta e ritmata che apre il concerto. Sono un paio di minuti che prolungano l'attesa di un'esplosione che arriva quando inizia la classica opener, e cioè Panasonic Youth. Ovviamente, nel frattempo è arrivato Greg Puciato, il cantante tutto fisico e niente altezza, dalla presenza scenica notevole. Tutta la stanchezza, la tensione, il lieve giramento di scatole per il lungo viaggio, gli inconvenienti, i ritardi, la fame, la sete, il pensiero che fra sette ore dovrò essere dall'altro lato dell'Italia a lavorare, tutte queste cose mi abbandonano. Capisco perchè sono qui. 43% Burnt a ruota ribadisce il concetto. Progressive-Noise-Jazzy-Post-Hardcore. Devastanti al vedersi. Posseduti. Lo stacco centrale che funge da assolo ricorda i Primus. The Mullet Burden, dal primissimo EP Under The Running Board, spacca. Milk Lizard è il primo estratto dal loro (per ora) ultimo lavoro, Ire Works, che è già vecchio di due anni (il nuovo lavoro, che pare si chiamerà Option Paralysis, uscirà a cavallo della fine del 2009/inizio 2010); nonostante appaia chiara la differenza tra pezzi come questo e quelli precedenti, non mi pare si possa accusare i ragazzi di essere dei rammolliti.
Sugar Coated Sour precede Lurch e Horse Hunter, una roba che potremmo definire Hardcore Free Jazz.
Billy alla batteria non se la cava affatto male. Gli altri non sembrano prestargli troppa attenzione, non mi pare sia sotto osservazione. Se possibile, mi sembra leggermente meno tecnico, per dire, di Gil che lo ha preceduto, ma non per questo meno efficace. Greg come al solito corre da una parte all'altra del palco, arrampicandosi ovunque può, e divertendosi ad infilare il microfono dentro, proprio dentro, i coni dell'amplificazione, in modo da generare fischi (funzionali). Lo sento stentare in un paio di casi ad afferrare il tono giusto, ma pure esibirsi in alcune variazioni sul cantato che non credevo possibili in performance di questo "tiro". Ben e Jeff alle chitarre sono scatenati, letteralmente, ed ancora mi domando come si possa riuscire a suonare bene come fanno loro, tecnicamente in maniera ineccepibile un genere così contorto, veloce, potente, e a dimenarsi, correre, urlare, arrampicarsi, saltare, buttarsi giù da dove si sono appunto arrampicati (dalle casse, da sopra gli ampli e le testate, dalla cassa della batteria), senza tra l'altro storcersi una caviglia. Per dire: Ben l'ho visto chiaramente verso la metà del concerto, correre a tutta velocità verso uno dei muri del Velvet che delimitano il palco, camminare in verticale almeno con due passi, e poi tornare sul palco in piedi con una mezza giravolta, senza smettere di suonare. Jeff durante l'ultimo pezzo, probabilmente infastidito come tutto il resto della band dalla troppa distanza che la transenna sotto il palco imponeva al pubblico rispetto alla band, scende dal palco, fende il pubblico sotto il palco in diagonale per venti metri, poi corre e sale i gradoni della gradinata laterale, così, suonando e strillando in mezzo al pubblico letteralmente impazzito.
Liam al basso è forse il meno dinamico, ma essere il meno dinamico nei DEP probabilmente è essere scatenato in tutto il resto delle band rock.
Quasi non mi accorgo dell'esecuzione di Setting Fire To Sleeping Giants, seguita dalla rara e particolare When Good Dogs Do Bad Thing, dall'EP del 2002 Irony Is A Dead Scene, in collaborazione con Mike Patton, al quale Greg, fra le righe del suo stile, si richiama in parte.
Weekend Sex Change e Destro's Secret sono due ulteriori estratti dal loro primo Calculating Infinity del 1999; la prima funge come da introduzione alla follia della seconda.
Ancora chicche: ecco la cover di Come To Daddy, originariamente di Richard David James, aka Aphex Twin, contenuta in Irony. La versione è a dir poco distruttiva. Lascia senza fiato.
Per Mouth of Ghosts Ben lascia la chitarra ad un tecnico/roadie/amico, per prendere la tastiera. La versione che ne esce è, seppur leggermente confusionaria, avvolgente e trascinante. Si viaggia con la mente rapita dall'intensità dei DEP e della loro musica. Difficile trovare una band che riesca a miscelare in modo così sopraffino intensità, anche fisica, con una sorta di psichedelia indotta da canzoni ellittiche, che ti "prendono e ti portano via", anche di prepotenza.
Greg annuncia le ultime due canzoni. La prima è Fix Your Face, devastante, la seconda è Sunshine The Werewolf, ed è un apoteosi (vedi poche righe sopra alla voce "chitarrista in mezzo al pubblico").
E' finita. L'orologio del cellulare segna mezzanotte e 37 minuti. 59 minuti di lucida follia, mi pare la definizione adatta per un concerto dei Dillinger Escape Plan. Senz'altro, questa sera penalizzati dal fatto che i presenti fossero diciamo 400 scarsi dentro un locale che ne contiene tre volte tanto, e per di più con, come detto poc'anzi, troppa distanza tra il palco e il pubblico: Greg lo ha detto piuttosto chiaramente al microfono. E non dimentichiamo, come osserva giustamente l'amica Angela che è con me, che i DEP vengono dall'hardcore, laddove la "comunione" con i fans, il pubblico, è totale, non ci sono distanze, non ci sono barriere. Non importa se i musicisti dei DEP potrebbero suonare in una jazz band. Sempre di attitudine punk si tratta.
Una band che merita di essere vista e rivista live. Probabilmente, ha ragione Kerrang!: best live band on Earth. Provare per credere.
PS uno strappo alla regola: nella foto, di Angela, io e Jeff Tuttle, chitarrista dei DEP, nel parcheggio del Velvet davanti alla mia macchina. E' una storia lunga. Vi basti sapere che è un ragazzo simpatico.
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