Il Teatro Degli Orrori + Zenerswoon, sabato 12 dicembre 2009, Firenze, Auditorium Flog
A tre giorni di distanza, sto ancora pensando a cosa non ha funzionato. La mia autostima, forse la mia immodestia, mi fa credere di aver assistito ad un gran concerto di una band potenzialmente fortissima, nella rosa delle cose migliori attualmente in Italia, nonostante io sabato sera mi sia rotto le scatole (eufemismo). Scusate l'introduzione strettamente personale.
Arriva il freddo sulla penisola, e la nuova (non proprio, sono al secondo disco) creatura di Pierpaolo Capovilla è in giro da un po', per supportare il nuovo A sangue freddo, che a suo dire, non si ispira direttamente a Capote (bensì all'uccisione di Ken Saro-Wiwa, al quale è dedicata appunto la title-track). Un disco meno spigoloso, nei suoni, del precedente Dell'impero delle tenebre, che due anni fa scosse il panorama rock italico, ma ancor più pungente dal punto di vista delle liriche, addirittura supponente, nell'accezione, se esiste, migliore del termine, quando mette in musica nientemeno che Majakovskij e la sua All'amato me stesso (nel pezzo Majakovskij).
E' sabato sera, e un po' per questo, un po' per l'hype che c'è sui TDO (per gli amici), il/la Flog si riempie, un po' alla volta. Già prima delle 21,30 lunghe file davanti alla biglietteria, che procede a rilento. Aprono le danze i fiorentini Zenerswoon, che ricordano vagamente i progenitori dei TDO (gli One Dimensional Man), e, in generale, tutto il post-rock, ma dopo un paio di pezzi non se ne può più. Naturalmente, sono già le 23,00 e la band principale non è ancora sul palco. L'intro spettrale, vagamente horror, che comincia a dare il senso dell'attitudine dark della band, parte verso le 23,20, e per i miei gusti dura fin troppo. L'attesa è palpabile, le prime file ribollono.
Eccoli. Capovilla incarna l'intellettuale rock quasi di altri tempi, anche se con personalità: è veneto e quindi gli piace bere, socialmente impegnato (è dichiaratamente marxista) ma riesce a parlare d'amore in maniera dolente, è potenzialmente un cantautore vecchio stile ma suona e canta rock, anche se si tinge i capelli (la prima cosa che si nota, appena le luci lo illuminano). La band è vestita con camicie scure, devo dire piuttosto eleganti, e, non so perchè, il fatto di vestirsi in maniera simile, e quindi "pensata", denota da sempre un'attenzione che in Italia hanno solo i più grandi, nel rock. Parte Direzioni diverse, e subito mi prende un po' il magone, pensando al testo e a quello che significa. I suoni sono pessimi, purtroppo, e il mio perfezionismo da cronista inutile mi spinge pian piano a girare tutto il locale alla ricerca di un angolo favorevole.
Scorrono ancora Il terzo mondo, Mai dire mai, la b-side Per nessuno, poi arriva qualche pezzo dal primo disco: Vita mia, Dio mio ed E lei venne!, quest'ultima ultra-energica, uno dei climax del concerto. L'accoppiata con la seguente E' colpa mia, della quale si perde la profondità joydivisioniana nel furore live dell'intro, è micidiale. Il turbamento della gelosia fa da cuscinetto prima di altri due pezzi validissimi del disco nuovo, la già citata Majakovskij e l'altra "rivisitazione", Padre nostro, dove i personali conti di Capovilla con la religione, cominciati già col primo lavoro, proseguono a regolarsi.
Arriva poi l'altra accoppiata vincente del concerto, a mio giudizio: A sangue freddo, introdotta da una spiegazione accorata di Pierpaolo sulla figura di Ken Saro-Wiwa, seguita da un'esecuzione spietata e massiccia, seguita dall'altrettanto dura Due, favolosa.
Prima della (meritata) pausa c'è tempo per due pezzi del primo disco accolti da ovazioni, Compagna Teresa e La canzone di Tom, intervallate da La vita breve, e l'eccitazione del pubblico va alle stelle.
Pierpaolo non si nega per niente, si lascia spesso e volentieri trasportare dalle braccia delle prima file, microfono in mano, e l'unico addetto al palco fatica non poco a riportarlo al suo posto. Imbraccia il basso solo una volta, per un pezzo che, perdonatemi, non ricordo, eseguito a due bassi (verso la fine del concerto), per il resto si dedica anima e corpo al suo essere front-man atipico ma efficace. La voce, meno "cartone animato" rispetto al passato, a volte recita a volte canta, sempre con uno stile particolarissimo, regge bene fino alla fine.
Giulio Favero col suo basso è debordante, riempie il suono e anche di più, tanto è vero che risulta difficilissimo riconoscere i suoni di Gionata Mirai e della sua chitarra (vedi, per esempio, la già citata E' colpa mia), e insieme a Francesco Valente alla batteria, col suo stile secco e potente, che ricorda, per dirne uno, Mike Bordin (Faith No More, Jerry Cantrell, Ozzy Osbourne, Korn), forma una sezione ritmica devastante.
Maestosa la versione di Die zeit in chiusura, dopo una breve pausa; una scelta atipica, non ruffiana, anche se con questo pezzo "espanso" e marziale, affogato in un pubblico non tutto attento, si rischia la noia, rispetto ad un pezzo più tirato. Sono le 1,00 passate, e la band saluta il pubblico a lungo, a luci accese, evidentemente soddisfatti della risposta.
Il Teatro Degli Orrori è una bella realtà italiana. A me rimane la voglia di vederli in un altra location.
3 commenti:
a proposito di Ken saro-Wiwa lo sapevate che c'è una sua bellissima raccolta di racconti intitolata Foresta di Fiori? Ne ha parlato anche Saviano a che tempo che fa.
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH! Non vedo l'ora di vederli in concertooooooooooo!
Lisa
A me vien voglia di vederli sempre!!!
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