No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20100811

islanda lug/ago 2010 - 05

Dimmuborgir e altre storie islandesi
Ci svegliamo, come ogni mattina del resto, verso le 8,00, e per fortuna la colazione è compresa, ed è servita nel container accanto. Ad occuparsi di noi e degli altri "terremotati" (nel senso di "ospitati nei container") c'è una ragazza ovviamente bionda, carina, minuta, quindi un po' fuori standard, che abbiamo notato il giorno precedente alla reception. Prendete nota. Tutto impacchettato, come sempre, e si parte, tornando indietro sulla strada 1, verso il bivio per Dettifoss (foto 1 il canyon, foto 2 e 3 la cascata, foto 4 l'arcobaleno), una delle cascate più spettacolari, a detta di molti, pare la più grande d'Europa per portata. Sono leggermente preoccupato, perchè dal bivio sulla 1 alla cascata ci sono circa 30 km di sterrato descritti non propriamente come agevoli. Effettivamente, tra polvere e buche, ci si mette un bel po' di tempo, ma soprattutto, io guido come se l'auto fosse mia, mentre la mia compagna, che si propone per la guida, no, ed effettivamente la cosa, con lei alla guida, si velocizza (anche se la schiena non ne beneficia, ma c'è di peggio nella vita). A proposito delle strade islandesi, almeno, quelle asfaltate, c'è da dire che, al contrario, non
hanno buche, ma, come dire, sembrano un po' "tirate via": brecciolino sulle banchine, ma spesso pure al centro, pavimentazione non perfettamente allineata (un'utilitaria ne risente), e molti tratti sterrati o in cui si deve ridurre la velocità (che, quando la strada è a posto, è di 90 km/h al massimo). Detto questo, arriviamo al parcheggio che è già quasi pieno tra auto e bus, percorriamo a piedi le poche centinaia di metri che ci separano dalla cascata, e quando ci siamo, concordiamo che ne valeva la pena. Impetuosa, imponente, la cascata ci ipnotizza per un po', e la ricerca della foto da ricordare, soprattutto agli arcobaleni che si formano attraverso la rifrazione della
luce solare sul vapore acqueo che consegue dall'impatto della massa acquosa con quella sottostante, ci fanno dimenticare che, seguendo l'altro sentiero, camminando solo un altro
chilometro, arriveremmo a Selfoss, la piccola cascata del salto precedente (e me ne rendo conto
solo adesso che ne sto scrivendo).
Cose che capitano; tra l'altro, ripenso pure al fatto che avevo citato proprio quest'ultima cascata, quando la poliziotta agli arrivi internazionali mi aveva fermato, fatto aprire lo zaino, fatto estrarre tutto il contenuto, controllato il passaporto, e, forse per allentare un minimo di tensione, forse solo perchè temeva fossi un pericoloso terrorista, dopo aver constatato che "you travel a lot", mi aveva domandato perchè avessi scelto l'Islanda, questa volta.
Torniamo al parcheggio, un viavai di turisti, e ci mangiamo qualcosa, come sempre, "al sacco". Poi ripartiamo, strada esattamente al contrario, per
riprendere la 1 e tornare verso Myvatn, ma per deviare poco prima, sulla destra, per visitare la
caldera del vulcano Krafla. Prima di arrivare all'ingresso della sorta di "parco" che la contiene,
si trova la centrale geotermica che
sfrutta la zona sottostante, ricca di
gas come buona parte dell'Islanda.
E' usuale, aprire il rubinetto e sentire
odore di zolfo: credo sia uno dei pochi
luoghi al mondo dove l'energia viene spesa più per rendere fredda l'acqua, dato che calda ce l'hanno già! La caldera è costellata da un insieme di sentieri che conducono, su un area molto ampia, ai vari crateri, pozze d'acqua bollente (foto 5), campi di lava (foto 6, perdonate la sovraesposizione). La giornata è quasi torrida, ma camminiamo di buona lena e ci vediamo quasi l'intera zona, baciati dal sole, incontrando e re-incontrando turisti. Mentre torniamo verso il lago, buttiamo un occhio alla zona termale pubblica, una sorta di Blue Lagoon (ma ovviamente non si chiama così, bensì Myvatn Nature Baths) di Myvatn (un insieme di piscine naturali con acqua calda), e poi andiamo a sistemarci nel
campeggio dove abbiamo prenotato per la notte. Non ci fermiamo però: passiamo accanto ad un altro grande cratere, e ci dirigiamo verso Dimmuborgir, che fino a prima di arrivare qui, io pensavo fosse solo il nome della band black metal norvegese. Lo spiega meglio la scheda wikipedia linkata, ma in breve è un enorme campo di lava, che contiene, oltre a una discreta vegetazione, diversi sentieri tracciati per camminate di varia lunghezza ed ammirare le strane formazioni, come il buco o la chiesa (foto 7, 8 e 9); abbastanza impressionante, è soprattutto la dimostrazione di quanto siano fantasiosi gli islandesi (che, dimenticavo di dirvelo, hanno quasi tutti, in giardino, le casette in miniatura per gli elfi), e di quanto sappiano "vendere" località
turistiche di un minimo interesse. Camminiamo in giro per "la fortezza oscura" (questo il significato di dimmuborgir) più di un'ora,
sotto un sole che sembra non voler tramontare (e, in effetti...), dopo di che torniamo al campeggio e facciamo il bucato, stendiamo, ci facciamo una meritata doccia. Usciamo quindi per mangiare, e proviamo l'unico ristorante che non è a Reykjahlid, bensì a Skútustadir (in pratica, due fattorie e questo ristorante + distributore di benzina), ma quando arriviamo lì ci sembra troppo "formale", e cerchiamo altro. Decisione che risulterà una delle più azzeccate di tutto il viaggio, perchè ci porterà a "trovare" il Vogafjos Café, come dire, uno di quei luoghi che ti porti nel cuore per sempre.
Il posto è segnalato sulla Lonely
Planet, ma ancora non lo avevamo
trovato soprattutto per colpa mia, visto che per assonanza (il campeggio si chiama Vogar) mi ero, non so perchè, convinto che dovesse essere dall'altro lato della strada, e invece era poco distante (diciamo 50 metri). Tutto questo, nonostante avessi notato più volte il vistoso cartello (che potrete apprezzare visitando il sito linkato) fatto a forma di mucca. Si, e qui entriamo nel dettaglio, perchè i proprietari stessi chiamano il Vogafjos uno stalla-caffè (cowshed-café), con annessa Guesthouse. Infatti, parcheggiamo l'auto e vediamo subito che si stanno effettuando le operazioni di mungitura, con annessi bambini che assistono e si divertono. Cerchiamo l'ingresso,
ed appena entrati notiamo alla reception una sorta di Bjork bionda, e subito dietro un vetro enorme che separa il ristorante dalla stalla. Proprio come diceva la guida. Lo stile è country, tutto in legno, informale ma pulito e simpatico. Ci sono tavolini all'aperto (che non scegliamo, perchè, un'altra cosa che non vi avevo ancora detto, la zona è piena di moscerini fastidiosissimi e insistenti), ma anche se ci si siede dentro, le pareti sono interamente di vetro, e la vista sul lago è più che spettacolare, un invito alla rilassatezza. Menù vario, carne e pesce, servizio abbastanza veloce, per essere in Islanda, prezzi adeguati. Mozzarella e Feta (che qua in Islanda va moltissimo) di produzione propria, buoni, anche se la loro mozzarella con la "nostra" non c'entra assolutamente niente. C'è addirittura, tra la reception e il vetro che divide dalla stalla, un piccolo shop, che vende souvenir e, ovviamente, gli orrendi maglioni islandesi. Un luogo che avremmo dovuto scegliere anche per dormire, a qualsiasi costo. Domani Akureyri.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Damiano:
"credo sia uno dei pochi
luoghi al mondo dove l'energia viene spesa più per rendere fredda l'acqua, dato che calda ce l'hanno già!" è l'affermazione più affermazionata delle affermazioni mondiali...

monty ha detto...

anch'io pensavo che dimmuborgir...

jumbolo ha detto...

già

Pétur ha detto...

Ma non sapevi che Mývatn significa Lago dei moscerini ;-)

jumbolo ha detto...

Pétur, adesso si che capisco molte cose....grazie!