Ferro 3 la casa vuota – di Kim Ki Duk 2004
Giudizio sintetico: da vedere (4/5)
Giudizio vernacolare: ti leva 'r fiato
Corea, Tae-Suk è un giovane, appassionato di golf (il ferro 3 è un tipo di mazza, particolarmente pesante), apparentemente disoccupato, che gira su una moto appiccicando flyers di un take away alle maniglie delle porte; non sembra il suo lavoro, bensì uno stratagemma per capire quali case siano momentaneamente vuote, famiglie in vacanza o single in viaggio di lavoro. Individuate le case vuote, vi si introduce, ma non per rubare, anzi; abita le case, le fa vivere, cucina, fa il bucato (rigorosamente a mano), annaffia le piante, ripara gli apparecchi rotti (orologi, bilance, impianti stereo), e poi se ne va silenzioso come è arrivato.
Durante una di queste "visite", lo sorprende Sun-Hwa, moglie vessata dal marito manesco, silenziosa come lui; fra i due nasce un legame, dapprima strano, poi sempre più forte. Al rientro del marito, Tae impedisce che la picchi di nuovo, dandogli una lezione a colpi di palline da golf, e dopo se ne vanno insieme: l’introduzione nelle case vuote diventa vita di coppia.
I due vengono sorpresi in casa da un pugile, che picchia Tae (il volto segnato diventa adesso il suo, mentre i segni causati dal marito scompaiono sul volto di Sun); immediatamente dopo, la passione per il golf di Tae causa un gravissimo incidente; ci piace pensare che, dopo aver visto la giovane, col volto divenuto una maschera di sangue a causa sua, il rapporto tra lui e Sun diventa anche fisico (fino ad allora gli approcci erano stati piuttosto timidi).
La coppia è poi incarcerata; li sorprendono in una casa modesta, dove trovano un morto (e gli danno una degna sepoltura, "come a un padre", dice uno dei poliziotti quando lo scopre), quindi vengono accusati anche di omicidio. Sun è liberata e ripresa dal marito, Tae passa un periodo in carcere (dopo aver subito la vendetta del marito, che corrompe l’ispettore per poterla avere), durante il quale sembra palesarsi una trasformazione. L’epilogo lascia spazio a diverse interpretazioni: Tae torna da Sun e la ama, riamato, letteralmente alle spalle del marito ignaro.
Durante una di queste "visite", lo sorprende Sun-Hwa, moglie vessata dal marito manesco, silenziosa come lui; fra i due nasce un legame, dapprima strano, poi sempre più forte. Al rientro del marito, Tae impedisce che la picchi di nuovo, dandogli una lezione a colpi di palline da golf, e dopo se ne vanno insieme: l’introduzione nelle case vuote diventa vita di coppia.
I due vengono sorpresi in casa da un pugile, che picchia Tae (il volto segnato diventa adesso il suo, mentre i segni causati dal marito scompaiono sul volto di Sun); immediatamente dopo, la passione per il golf di Tae causa un gravissimo incidente; ci piace pensare che, dopo aver visto la giovane, col volto divenuto una maschera di sangue a causa sua, il rapporto tra lui e Sun diventa anche fisico (fino ad allora gli approcci erano stati piuttosto timidi).
La coppia è poi incarcerata; li sorprendono in una casa modesta, dove trovano un morto (e gli danno una degna sepoltura, "come a un padre", dice uno dei poliziotti quando lo scopre), quindi vengono accusati anche di omicidio. Sun è liberata e ripresa dal marito, Tae passa un periodo in carcere (dopo aver subito la vendetta del marito, che corrompe l’ispettore per poterla avere), durante il quale sembra palesarsi una trasformazione. L’epilogo lascia spazio a diverse interpretazioni: Tae torna da Sun e la ama, riamato, letteralmente alle spalle del marito ignaro.
Si potrebbe pensare che Kim Ki Duk sia più furbo che ispirato; il risultato però, non cambierebbe. Stavolta si cala in un paesaggio urbano, anonimo, assolutamente non suggestivo, si concede solo alcune inquadrature particolari (ricordiamo l’anteriore dell’auto dopo che il marito di Sun si vendica di Tae prendendolo a pallinate) concedendo poco allo stile, ricordando un po’ la filmografia francese, ma costruisce un film che ispira riflessioni a catena.
E’ uno di quei film che andrebbero visti da soli, sprofondando nella poltrona alla stessa maniera nella quale dovremmo sprofondare nel confronto serrato con noi stessi, rifuggendo le inevitabili ironie che possono nascere davanti alle situazioni indubbiamente grottesche della storia.
Tenete conto che il protagonista non dice una parola che sia una, e la co-protagonista dice due battute nell’ultima scena ("ti amo" e "la colazione è pronta"); eppure questo film ci parla.
Tae è un rivoluzionario moderno, che occupa gli spazi vuoti creati dal capitalismo, li riempie, apporta migliorie, usa la dolcezza con chi la merita e la durezza con i prepotenti; alla fine, complice Sun che lo comprende nella sua incomunicabilità, inventa un nuovo modo di amare, usando lo stesso metodo che usava con le case, lasciandoci con questa metafora, diventando un’entità sovrannaturale.
La scena di Sun che entra nella casa dove insieme a Tae avevano preso il thé, per riposarsi finalmente sul divano, senza dire una parola ai padroni ma indisturbata da essi, ringraziandoli con un inchino alla fine, è pura poesia.
Come un musicista che cambia spesso genere, e cerca vie sempre meno immediate e "commerciali", Kim Ki Duk coglie nel segno anche questa volta.
Profondo.
E’ uno di quei film che andrebbero visti da soli, sprofondando nella poltrona alla stessa maniera nella quale dovremmo sprofondare nel confronto serrato con noi stessi, rifuggendo le inevitabili ironie che possono nascere davanti alle situazioni indubbiamente grottesche della storia.
Tenete conto che il protagonista non dice una parola che sia una, e la co-protagonista dice due battute nell’ultima scena ("ti amo" e "la colazione è pronta"); eppure questo film ci parla.
Tae è un rivoluzionario moderno, che occupa gli spazi vuoti creati dal capitalismo, li riempie, apporta migliorie, usa la dolcezza con chi la merita e la durezza con i prepotenti; alla fine, complice Sun che lo comprende nella sua incomunicabilità, inventa un nuovo modo di amare, usando lo stesso metodo che usava con le case, lasciandoci con questa metafora, diventando un’entità sovrannaturale.
La scena di Sun che entra nella casa dove insieme a Tae avevano preso il thé, per riposarsi finalmente sul divano, senza dire una parola ai padroni ma indisturbata da essi, ringraziandoli con un inchino alla fine, è pura poesia.
Come un musicista che cambia spesso genere, e cerca vie sempre meno immediate e "commerciali", Kim Ki Duk coglie nel segno anche questa volta.
Profondo.
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