Ritual - White Lies (2011)
C'è qualcosa che manca nel nuovo disco dei White Lies, che tanta impressione mi fecero al loro debutto. Troppi pezzi suonano simili a quelli del precedente, per carità, alcuni molto belli e di grande atmosfera (le tastiere anni '80 post-new wave alla Gary Numan aiutano moltissimo, e su questo secondo disco sono presenti in maniera massiccia, molto più che sul debutto), e come spesso accade, il disco parte sparando le sue cartucce migliori nella prima parte, per poi afflosciarsi ignobilmente nella seconda, lasciando tra l'altro l'amaro in bocca.
Perché si intuisce un grande potenziale, non certo originale, ma sicuramente ai livelli, se non superiore, a quello degli Interpol degli esordi (perché, come avrete certamente intuito, siamo da quelle parti).
Un pezzo come Turn The Bells è esplicativo. Contiene dei passaggi da pelle d'oca (quella specie di chorus), ma nel complesso non è una canzone riuscita.
La voce di Harry McVeigh ricorda le migliori di quel genere citato prima (Quando parlavo di Gary Numan; c'è da dire però che ancora non sono riuscito a vederlo e soprattutto sentirlo dal vivo, perché nutro ancora dei dubbi. L'inizio di Streetlights, ad esempio, già sul disco lascia interdetti, visto che la voce, appunto, sembra in grossa difficoltà), e spesso contribuisce, da sola insieme alle tastiere, a creare momenti estatici e molto evocativi, davvero belli. Ma non basta. Alcuni riempitivi come Peace & Quiet, The Power & The Glory, Come Down, non inficiano le belle Bad Love, Strangers, Bigger Than Us, ma, unite al resto, abbastanza mediocre, lasciano un senso di incompiutezza piuttosto diffuso.
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