Vincere - di Marco Bellocchio 2009
Giudizio sintetico: si può vedere
Ida Irene Dalser, nata a Trento nel 1880, sotto l'impero austroungarico, conosce Benito Mussolini nel 1909 a Trento, dove il futuro Duce dirigeva il quotidiano locale d'ispirazione socialista L'avvenire del lavoratore ed era segretario della Camera del Lavoro. Per lei è amore a prima vista, ma non ha più occasioni di incontrare di nuovo Benito, fino al 1914 a Milano. Ida si era trasferita lì dopo essersi diplomata in medicina estetica a Parigi, e a Milano aveva aperto un salone di bellezza, appunto, alla francese; Mussolini era a quell'epoca direttore dell'Avanti!, quotidiano nazionale organo del Partito Socialista, quotidiano la cui diffusione aveva contribuito a raddoppiare (da 37.000 a oltre 70.000 copie vendute sotto la sua direzione), ma era in aperto contrasto col partito, per via del suo radicale cambio di opinione sull'interventismo bellico dell'Italia contro l'impero ottomano (1911). Allontanato dal giornale, ne fonda prontamente un altro, Il Popolo d'Italia, dal quale attacca i socialisti, e dopo poco viene espulso dal partito. Ida partecipa attivamente alla fondazione del Popolo, vendendo in pratica tutti i suoi averi, e dopo qualche mese rimane incinta. Ma Mussolini si arruola, e si lega a Rachele Guidi (tra l'altro, figlia della compagna del padre, Anna Lombardi vedova Guidi, alla quale il padre Alessandro si è legato dopo la morte della madre di Benito, Rosa), che sposa con rito civile nel 1915.
Ida, accecata dall'amore e dalla rabbia, partorisce Benito Albino, e non abbandonerà mai la lotta perchè sia riconosciuto il suo matrimonio religioso col Duce e il riconoscimento del figlio, sempre da parte di Mussolini. Vista la potenza ormai acquisita dall'uomo, che controlla l'Italia intera, sarà per lei, e per il figlio, una battaglia impossibile da vincere.
Qualcuno lo ha sbeffeggiato, altri hanno dichiarato che Vincere è il più bel film di Bellocchio. Nessuna delle due. Bellocchio prende per buona la ricostruzione dei giornalisti Marco Zeni e Alfredo Pieroni, non si fa domande (anche se lascia spazio al sogno, e quindi, al dubbio) e ne fa una sorta di melodramma a tinte fosche, così come la fotografia del film, tutta virata in toni seppia, alternando le sue riprese a spezzoni di cinegiornale d'epoca, sottolineando i momenti salienti con scritte sovraimpresse, incorniciando il tutto con musiche, appunto, da opera melodrammatica, che sembrano a tratti uscire dallo schermo (nota non propriamente positiva, a dire la verità). Ci rimette un po' la scorrevolezza, visti pure i salti storici e cronologici, ma ne esce fuori un lavoro che, seppure vagamente monocorde vista la prevedibilità della trama, angoscia non poco, viste anche le non allegre allegorie con l'attualità.
Lavoro quindi coraggioso e sperimentale, come del resto è nelle corde di Bellocchio, che ci teniamo stretto, che nonostante i difetti esposti e pure un'eccessiva durata, si difende bene.
Tra gli interpreti, la Mezzogiorno non abbandona i suoi due unici "toni" espressivi (animaletto bastonato e pazza schizofrenica che urla sempre), dando sfogo soprattutto al lato da "urlatrice" (ma, del resto, sembrerebbe che il ruolo lo richiedesse, anche se sono convinto che si sarebbe potuto affrontare il ruolo diversamente), mentre Timi risulta colossale per tutto il film, nonostante non si sia fatto niente per farlo assomigliare neppure vagamente al Duce (nella scena in cui, interpretando Benito Albino, perchè è importante dire che Timi recita due parti, il padre e il figlio, imita il padre, è impressionante nella sua lucida follia). Tra gli interpreti in parti minori spiccano la sempre bravissima Michela Cescon (Rachele Guidi Mussolini) e Corrado Invernizzi (dottor Cappelletti).
Nessun commento:
Posta un commento