No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20080317

io e i Metallica - capitolo 9




L'estate del 1987 finisce quindi alla scalinata del Palazzo Civiltà del Lavoro con il concerto dei Deep Purple e io che mi porto sempre nel bagagliaio della Uno lo skateboard senza saperci andare ma pieno di adesivi come si compete ad un vero thrasher. L'inverno passa suonando con la band, trasmettendo alla radio e con qualche concerto "grande", oltre a tutti quelli che non riesco più a ricordare, visti al Centro Sociale Occupato Macchia Nera di Pisa. Tra i concerti "da palasport" o roba del genere, Iron Maiden e WASP al palasport di Firenze, dove vedo anche i Black Sabbath (vi ho già raccontato dell'episodio che, in qualche modo, consacra i Metallica; durante l'attesa del concerto risuonerà tutto Master Of Puppets) e i Judas Priest, supportati dai tedeschi Bonfire; tramite l'accredito radiofonico/stampa vengo invitato alla conferenza stampa dei tedeschi, dove accendo un teatrino comico facendo battute a raffica e suscitando l'ilarità generale, ma soprattutto quella dell'allora Direttore di Metal Shock Giancarlo Trombetti, viareggino doc, e la sua spalla Klaus Byron, garfagnino, che mi farà poi scrivere qualche recensione su una specie di rivista spin off di Metal Shock, che si chiamerà Flash (qualcuno si ricorderà, anni più tardi, la mia profetica e poetica recensione del primo concerto italiano degli allora esordienti Pearl Jam). Ci sono inoltre i Ramones al palasport di Scandicci, due concerti dove mi porto addirittura dietro la fidanzata (incredibile ma vero), i Motorhead in un imprecisato teatro di Firenze e la trasferta milanese per i Megadeth, supportati da ben tre gruppi, i Testament, i Flotsam & Jetsam orfani di Jason Newsted, adesso nei Metallica, e i Sanctuary; e poi ancora i Marillion al palazzetto di via dei Pensieri di Livorno, i Def Leppard ancora al palazzetto di Firenze, e i Manowar, che mi vedo per la seconda volta, al palasport di Scandicci.

Verso la fine dell'estate del 1988 però, arriva il quarto disco dei Metallica: And Justice For All. E' preceduto dal singolo di One, una specie di ballad che insieme a quello che poi diverrà il cantante della mia band a venire, grazie ad una mia intuizione, svisceriamo nell'attesa del disco "completo". E' una sorpresa, ma non troppo, un pezzo emozionale con un testo ispirato ad un film del 1971, Johnny Got His Gun (E Johnny prese il fucile) di Dalton Trumbo, che parla di un reduce di guerra ridotto ad un tronco umano che chiede pietà all'infermiera e ai dottori che lo assistono perchè gli diano la morte. E' un grande pezzo, il tempo lo dirà, ma già ci si accorge di questo e di quanto stiano cambiando i Metallica, pur rimanendo "duri", ma guardando oltre. Pochi giorni ed ecco l'album, copertina bianca e una statua della Giustizia bendata che sta crollando a pezzi. Doppio vinile, pezzi dalla durata piuttosto lunga.

Blackened è il classico opener molto speed-metal, il lavoro delle chitarre si presenta già immane, la voce di Hetfield migliora. Il suono della batteria è secco, il basso non si percepisce, anche se questo è l'unico pezzo dove il nuovo arrivato Newsted ha contribuito in fase di scrittura. La title-track arriva subito dopo, ed è quasi una suite prog. Impressionante. Eye of the Beholder è sincopata, e dopo di lei arriva la già conosciuta One. Il secondo vinile si apre con The Shortest Straw, la pagliuzza più corta, che has been pulled for you, un pezzo dove le chitarre grattugiano alla grande e che si stampa immediatamente nella memoria, insieme al cantato di James. Questo pezzo, insieme ai seguenti Harvester of Sorrow e The Frayed Ends of Sanity, insieme ad un nichilismo di fondo che si percepisce già dai titoli, presenta la peculiarità del disco in evidenza: i riff chitarristici sono elaboratissimi, graffianti è dir poco, prepotenti, i cambi di tempo sono, come ebbi a dire all'epoca, coraggiosi, rischiosi, tutt'altro che da airplay radiofonico. Sono massicci. To Live Is To Die è uno strumentale atipico (viene recitata una frase), e porta nei crediti anche la firma di Cliff Burton, un pezzo a tratti commovente, anche se non ai livelli di Orion. Chiude Dyers Eve, un altro classico speed metal del quale mi innamoro al primo ascolto, ma che non riuscirò mai a sentire live.

Un disco ambizioso, che dà seguito ai pezzi complicati presenti su Master Of Puppets, che delude chi è rimasto ancorato alla ruvidezza e all'immediatezza di Kill 'em All ma che appare come una giusta progressione di una band che ormai è ad un passo dalla vetta. Un disco che apre orizzonti inaspettati ai metallari; il songwriting è imponente, ragionandoci a freddo si ha l'idea di un lavoro immane in fase di creazione e scrittura.

Mentre a Seattle il germe del grunge, un movimento che conquisterà molti di noi appassionati di rock, sta germogliando, And Justice For All gira all'impazzata sul piatto Technics, e dopo pochi giorni i pezzi vanno già a memoria. Del resto, c'è pochissimo tempo: il 13 e il 14 settembre la band sarà in Italia, prima a Padova e poi a Milano. Questa volta, insieme ad altri amici, scelgo Padova.

7 commenti:

monty ha detto...

sono curioso di leggere la parte
che coincide col black album...

Anonimo ha detto...

Bello il mi jumby....quante lotte musicali!! Rimango dell'idea che questa non è musica ma casino organizzato, a parte le canzoni "lente".
Poi un comunista come te che ascolta il metal sembra un controsenso...

Anonimo ha detto...

tralascerei il discorso comunista-metal perchè non so nemmeno da dove partire... mia opinione personale è che la passione politica e quella musicale abbiano ben poco da spartire (a parte le marionette sessantottine che cosiderano dei destra chi scrive canzoni d'amore... ma quelli vabbè). inoltre si tratta di musicisti americani di scolarizzazione paragonabile probabilmente alle nostra scuole elettra, è solo finzione.
In più c'è l'influenza HC sui Metallica che senza grande sforzo possiamo sposare alla nostra cerchia da Centro Sociale (cioè il non capire bene che cazzo si pensa ma l'importante è essere contro, a volte. poi ci sono le eccezioni).

oh Ale! il mitico Klaus! c'andavo sempre nel suo negozietto!

arveste o sorrò!!!
Mau

Anonimo ha detto...

Ma soprattutto...Ramones e Manowar a SCANDICCI???????????

jumbolo ha detto...

Mau questa s'è capita bene!!!
Si Iacopo, a quel tempo andava alla grande Scandicci!!

Anonimo ha detto...

: )
cmq le eccezioni quando ci sono sono quelle che più amo.
ma devo dire che sono influenzato da recenti incontri, un personaggio storico della scena dei centri sociali a Milano per il quale stravedo dal momento in cui mi ha stretto la mano.

e poi.. chi potrebbe prendere sul serio, ideologicamente parlando, uno come Jamiz? e uno come Joey di Maio?
: ))))))

Mau

Anonimo ha detto...

quoto angelo...