Da Il Manifesto di mercoledì scorso.
terraterra
Meat out day, verso le proteine etiche
Marinella Correggia
In 50 stati americani e in decine di altre nazioni il 20 marzo ricorre, da oltre venti anni, il meatout day (giorno di fuoriuscita dalla carne) , grande campagna di educazione alimentare dal basso e interattiva. Una giornata di eventi, tavolini nelle strade, cene dimostrative, volantinaggi, pressioni sui media, colloqui con familiari, amici e vicini. Si chiede a tutti di non mangiare carne e pesce per quel giorno almeno e si divulgano le buone ragioni - etiche, ambientali, climatiche, salutari, economiche e perfino gustative - che inducono a passare al cibo del futuro, che dovrà essere il più possibile vegetale e biolocalmente prodotto. Ma la transizione auspicata verso un modello proteico non è affatto iniziata. Si prevede che entro il 2050 il consumo mondiale di carne raddoppierà e l'aumento sarà quasi tutto nel Sud del mondo. Già oggi siamo a oltre 280 milioni di tonnellate all'anno. Fra i cambiamenti necessari per un futuro vivibile, la rivoluzione delle abitudini alimentari è uno dei pochi immediatamente realizzabili a livello individuale: non richiede svolte politiche né la diffusione di tecnologie. E la sua portata sarebbe enorme: Albert Einstein dichiarò che «niente andrà a beneficio della salute umana e accrescerà le chance di sopravvivenza della vita sulla Terra quanto l'evoluzione verso una dieta vegetariana». Certo, da allora le minacce ambientali si sono moltiplicate ed ecco perché l'indiano Rajendra Pachauri, coordinatore dell'Ipcc, il pool di scienziati Onu che si occupa di cambiamenti climatici, non suggerisce solo il cambiamento alimentare ma anche...di andare in bici, e in generale riorientare gli stili di vita verso la sobrietà. Sul lato dei consumi, l'impatto sanitario della dieta con forte componente animale sarà al centro del meatout day negli Stati uniti. Sul lato dell'offerta, l'impatto della zootecnia intensiva (e per soddisfare simili consumi non può che essere intensiva) è ormai sottolineato in più sedi, anche se c'è chi sostiene che si potrà riorganizzare la produzione senza ridurla, dunque senza una rivoluzione dei consumi. Terra: buona parte delle superfici agricole disponibili è destinata a coltivare i futuri mangimi per le stalle; intanto a fronte degli oltre 840 milioni di persone sottonutrite, la produzione di alimenti animali è inefficiente: nel passaggio dalle calorie e proteine vegetali molto si perde, fino al 90 per cento del totale (per ottenere 1.000 chilocalorie di carne occorrono 8 metri quadrati di terreno rispetto agli 0,26-0,80 per 1.000 calorie di cereali). Acqua: in tutto il ciclo produttivo zootecnico, dai campi per la mangimistica ai frigoriferi per la refrigerazione, ne occorre moltissima e molta se ne inquina; negli Stati uniti, secondo la governativa Epa (Agenzia per la protezione ambientale), circa i tre quarti delle acque sono inquinati da questo settore produttivo; in tempi di crisi idrica presente e futura, converrebbe orientarsi verso colture vegetali come quelle che secondi i centri di ricerca agricola internazionali (e il rapporto Slow Trade Sound Farming del Wupperthal Institute) sono le più adatte a fornire un minimo di sicurezza alimentare in condizioni climatiche difficili e con poca acqua: miglio, sorgo e orzo, arachidi, legumi nelle tante declinazioni locali. Fuoco e aria: il ciclo produttivo zootecnico richiede grandi quantità di energia di origine fossile, il che si traduce in emissioni di anidride carbonica, gas climalterante, a cui si aggiungono le emissioni di metano delle deiezioni, e quelle del metabolismo nel caso dei bovini. A ciò va sommata la distruzione delle foreste (e relativa «liberazione» di carbonio) per l'espansione delle colture mangimistiche. Insomma per produrre un chilo di carne bovina le emissioni di gas serra possono essere equivalenti a 36 kg di anidride carbonica. Il meatout day, infine, sottolinea che il tempo è venuto per una svolta etica che non accetti più il trattamento inflitto alle «macchine da carne», stipate in lager, trasportate in tir piombati qua e là per il mondo, verso i macelli.
terraterra
Meat out day, verso le proteine etiche
Marinella Correggia
In 50 stati americani e in decine di altre nazioni il 20 marzo ricorre, da oltre venti anni, il meatout day (giorno di fuoriuscita dalla carne) , grande campagna di educazione alimentare dal basso e interattiva. Una giornata di eventi, tavolini nelle strade, cene dimostrative, volantinaggi, pressioni sui media, colloqui con familiari, amici e vicini. Si chiede a tutti di non mangiare carne e pesce per quel giorno almeno e si divulgano le buone ragioni - etiche, ambientali, climatiche, salutari, economiche e perfino gustative - che inducono a passare al cibo del futuro, che dovrà essere il più possibile vegetale e biolocalmente prodotto. Ma la transizione auspicata verso un modello proteico non è affatto iniziata. Si prevede che entro il 2050 il consumo mondiale di carne raddoppierà e l'aumento sarà quasi tutto nel Sud del mondo. Già oggi siamo a oltre 280 milioni di tonnellate all'anno. Fra i cambiamenti necessari per un futuro vivibile, la rivoluzione delle abitudini alimentari è uno dei pochi immediatamente realizzabili a livello individuale: non richiede svolte politiche né la diffusione di tecnologie. E la sua portata sarebbe enorme: Albert Einstein dichiarò che «niente andrà a beneficio della salute umana e accrescerà le chance di sopravvivenza della vita sulla Terra quanto l'evoluzione verso una dieta vegetariana». Certo, da allora le minacce ambientali si sono moltiplicate ed ecco perché l'indiano Rajendra Pachauri, coordinatore dell'Ipcc, il pool di scienziati Onu che si occupa di cambiamenti climatici, non suggerisce solo il cambiamento alimentare ma anche...di andare in bici, e in generale riorientare gli stili di vita verso la sobrietà. Sul lato dei consumi, l'impatto sanitario della dieta con forte componente animale sarà al centro del meatout day negli Stati uniti. Sul lato dell'offerta, l'impatto della zootecnia intensiva (e per soddisfare simili consumi non può che essere intensiva) è ormai sottolineato in più sedi, anche se c'è chi sostiene che si potrà riorganizzare la produzione senza ridurla, dunque senza una rivoluzione dei consumi. Terra: buona parte delle superfici agricole disponibili è destinata a coltivare i futuri mangimi per le stalle; intanto a fronte degli oltre 840 milioni di persone sottonutrite, la produzione di alimenti animali è inefficiente: nel passaggio dalle calorie e proteine vegetali molto si perde, fino al 90 per cento del totale (per ottenere 1.000 chilocalorie di carne occorrono 8 metri quadrati di terreno rispetto agli 0,26-0,80 per 1.000 calorie di cereali). Acqua: in tutto il ciclo produttivo zootecnico, dai campi per la mangimistica ai frigoriferi per la refrigerazione, ne occorre moltissima e molta se ne inquina; negli Stati uniti, secondo la governativa Epa (Agenzia per la protezione ambientale), circa i tre quarti delle acque sono inquinati da questo settore produttivo; in tempi di crisi idrica presente e futura, converrebbe orientarsi verso colture vegetali come quelle che secondi i centri di ricerca agricola internazionali (e il rapporto Slow Trade Sound Farming del Wupperthal Institute) sono le più adatte a fornire un minimo di sicurezza alimentare in condizioni climatiche difficili e con poca acqua: miglio, sorgo e orzo, arachidi, legumi nelle tante declinazioni locali. Fuoco e aria: il ciclo produttivo zootecnico richiede grandi quantità di energia di origine fossile, il che si traduce in emissioni di anidride carbonica, gas climalterante, a cui si aggiungono le emissioni di metano delle deiezioni, e quelle del metabolismo nel caso dei bovini. A ciò va sommata la distruzione delle foreste (e relativa «liberazione» di carbonio) per l'espansione delle colture mangimistiche. Insomma per produrre un chilo di carne bovina le emissioni di gas serra possono essere equivalenti a 36 kg di anidride carbonica. Il meatout day, infine, sottolinea che il tempo è venuto per una svolta etica che non accetti più il trattamento inflitto alle «macchine da carne», stipate in lager, trasportate in tir piombati qua e là per il mondo, verso i macelli.
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