No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20080327

accade in Italia


Uno spaccato d'Italia (la Sardegna è Italia) difficile da credere, ma al tempo stesso affascinante. Da D La Repubblica delle donne nr. 588



La scelta di Ausilia
Sardegna Isili, Mandas, Serri: nel Cagliaritano lavorano ancora le guardiabarriere. Tutte donne. Ma presto saranno sostituite dai bracci meccanici
di Viviana Devoto
Il rito si consuma ogni giorno ai bordi della ferrovia.

Appare all'improvviso. Tra i binari e i muretti a secco. Corporatura esile, giubbotto catarifrangente, caschetto in testa e gli occhi bruni del suo bimbo che la osservano attraverso i finestrini della macchina. Chiude il passaggio a livello, con le catene. Il rumore del treno in arrivo sbatte lento sui binari. In lontananza. Marina è una delle ultime guardabarriere d'Italia, nella striscia ferroviaria tra Isili e Mandas, angolo assopito di Sardegna. "Attacco alle sei del mattino, finisco che è buio: diciotto corse al giorno, per seicento euro al mese". Sono centocinquanta in tutta l'isola, ma il loro destino è già segnato, cancellato da un braccio meccanico: il tempo delle casellanti finirà a settembre. Con l'arrivo dei sistemi automatici, il mestiere diventerà ricordo, utile solo, forse, per gli almanacchi. In attesa della fine il rito si consuma ogni giorno, in centinaia di piccoli pit-stop ai bordi della ferrovia le guardabarriere bloccano il passaggio delle macchine o i pastori col gregge al seguito.

DI MADRE IN FIGLIA

"Questo è un mestiere duro, lo faceva anche mia madre". Marina, quarantasei anni, due figlie e un marito che lavora alla manutenzione, racconta di "una vita con l'orologio in mano". Le Ferrovie della Sardegna hanno lasciato intatta una striscia di storia, i treni di trent'anni fa e le braccia umane a scandirne il passaggio, sottolineandolo con un sorriso, un saluto al conducente. Il ritmo della vita di Marina è scandito da arrivi e ritorni, un doppio binario senza tracce di Alta velocità. "Preparo la colazione quando i bambini ancora dormono. Per il primo turno devo partire all'alba". "All'inizio era un lavoro provvisorio", dice Balbina Orrù, diplomata in ragioneria che 37 inverni fa prese servizio nelle Ferrovie. "Dopo sono arrivati i figli, due. E lo stipendio faceva comodo, nel bilancio familiare. Non saprei dire se è anche un lavoro che mi piace. Il mio andirivieni è lungo cento chilometri al giorno. Senza servizi igienici, siamo esposte alle intemperie. Sempre". Il contratto da lavoratori autonomi, secondo la legge (antica) non offre qualifiche. Balbina, per esempio, è una "guardiabarriera di giro". Che significa "fare la sostituta, ovvero "copro" le colleghe in malattia o in ferie. Ogni sera, quando vado a dormire, non so cosa mi aspetta il giorno dopo, quanti chilometri dovrò fare per raggiungere il casello che mi hanno assegnato. Nonostante la nostra responsabilità, però, non siamo riconosciute neanche come operaie. Un giorno libero alla settimana, di domenica: per poter andare dalla parrucchiera devi prendere un giorno di ferie".

PASSAGGI E FANTASMI

Il futuro, dicono, passa attraverso i corsi di formazione. L'esercito di casellanti potrebbe essere "addestrato" per incarichi negli uffici amministrativi o per lavorare alla metropolitana leggera che collegherà la Cagliari turistica con l'hinterland. "Ci hanno rassicurato dicendo che saremo reintegrati in azienda con altre mansioni", dice Balbina. "Il destino non lo scriviamo noi. Nove anni fa sono rimasta vedova. Tanti sacrifici, ma ora i ragazzi studiano all'università. Uno è già laureato. Quando erano piccoli li ho sempre portati con me al casello. Anche appena nati, perché inizialmente nel mio contratto non era prevista la maternità. Al lavoro andavo con il pancione, e un mese dopo il parto mi trascinavo la carrozzina. Certo, loro non hanno la passione per il treno. Fra tre anni sarò in pensione. Ma a Isili ho costruito la casa, assieme a mio marito. Qui ho la mia vita, i miei ricordi. Penso che resterò". Sono fantasmi del passaggio a livello, le ultime guardabarriere, pioniere di un mestiere che rese possibile il miracolo dell'emancipazione, prima della rivoluzione delle "streghe" negli anni Settanta. Gli uomini alla manutenzione, le donne al casello, con grembiule e paletta. A Mandas c'è una strada, tra eucalipti e cemento, dove ogni palazzina ospita una casellante. Lo chiamano "il rione ferroviario". Vecchie abitazioni destinate a conducenti e manutentori, poi passate ai figli. "Ma i giovani scappano, vanno a studiare in città o in continente: dove c'è vita", sostiene Alessandro, ventenne rimasto in paese perché ha un lavoro: "L'idraulico, è sempre utile". Mandas sorge in quella fetta di Sardegna che incantò lo sguardo di David Herbert Lawrence, in viaggio negli anni Venti attraverso queste terre, tanto da ispirargli un romanzo, Mare e Sardegna. Allora il treno era l'unico collegamento con le zone interne e le casellanti si piegavano alla catena di montaggio. "Io come mia madre", racconta Rosa Gessa, "ho imparato a organizzare la giornata senza mai prendere impegni, perché è il ritmo del treno che regola la nostra vita. Ma con i sistemi automatici sta cambiando tutto: abbiamo già visto i lavori in corso, dicono che ci destineranno ad altri reparti". Rosa parcheggia l'utilitaria appena lucidata accanto ai binari, poi dà un'occhiata all'orizzonte: "Mia madre dice che ora fare questo lavoro è un gioco. Prima al casello si andava a piedi, e lì, al freddo o sotto il sole, aspettavano tutto il giorno. Per noi il cellulare è stata la svolta: se il treno è in ritardo non bisogna stare ad aspettare per ore, da una stazione all'altra basta uno squillo per avvertirci. E così non dobbiamo più subire le lamentele di automobilisti o pastori bloccati in fila". Oggi, tra i figli, si esclude la staffetta: "La mia piccola ha tredici anni, ogni tanto la sera viene con me al lavoro. Ma ha già una certezza: "Mamma, il tuo lavoro non lo farei mai"".

RIVOLUZIONE E ROTAIE

All'alba il primo fischio. Cagliari-Arbatax e viceversa: a bordo studenti, pendolari e turisti al finestrino, alla scoperta delle rocce maestose e rossicce dell'Ogliastra. "Sono pochi ormai a scegliere di viaggiare con la ferrovia. E chi lo prende più un treno che impiega due ore a fare 120 chilometri?". Da quindici anni Olga Atzorida si fa i turni al passaggio ferroviario nella campagna di Mandas. Una tana diroccata in mezzo allo sterrato. Ha visto gli operai sistemare gli impianti automatici, "ma coi tempi dei nostri treni, si fa prima ad arrivare a Parigi". Perché tra scorci d'incanto e binari antichi, anche per le immobili Ferrovie della Sardegna è arrivata la rivoluzione. Il passaggio da Governo a Regione (l'azienda dipende dal ministero dei Trasporti) potrebbe regalare un soffio di vita, almeno a sentire il direttore delle FdS Ettore Porceddu: "In centoventi anni di storia, gli ultimi veri interventi risalgono al dopoguerra. Non dico che ci siano ancora le locomotive a vapore ma certamente siamo rimasti fermi, indietro nel tempo". Si chiama ferrovia a scartamento ridotto, ha 1.300 dipendenti: "In questi ultimi anni c'è stata una politica di abbandono", prosegue Porceddu, "ma ora contiamo sul rilancio nella gestione del trasporto. L'automazione di tutti i passaggi, a partire dai più importanti, è un percorso davvero necessario. La tecnologia garantisce sicurezza, laddove un passaggio a livello non funziona c'è un segnale che arriva direttamente al conducente. Un casellante può sempre avere un malore. I posti di lavoro saranno garantiti. C'è stato un accordo tra le parti: le guardabarriere saranno reinserite con nuove mansioni, dopo aver seguito dei corsi di aggiornamento. In più abbiamo un turnover fermo da vent'anni. Potrebbero esserci anche delle nuove assunzioni".

IL PESO DELLA NEVE

Chi abita da queste parti racconta volentieri la vita nelle case cantoniere, "sperdute nelle campagne. Non c'era la corrente elettrica ma avevamo l'orto, i maiali e le galline, si andava a caccia di funghi prataioli". Anni dopo, Paolo e Ausilia, rispettivamente manutentore e guardabarriere, hanno costruito la propria casa in paese, avuto una pioggia di nipoti e costruito un progetto per quello che sarà, dopo la pensione, senza dover assistere ai nuovi lavori in corso. "Ma nella casa cantoniera", racconta Ausilia, "le bambine hanno conosciuto la semplicità, la più piccola ci è pure nata. Tornavo la sera dal casello con il fazzoletto in testa: è arrivato Babbo Natale, mi dicevano". E ride. Dei turni rigidi, Ausilia conosce ancora il sapore: "Una volta sotto il peso della neve si sono staccate le sbarre, non sapevamo come fare. Il treno ti consegna una responsabilità, un impegno. È stato anche un modo per nobilitare le donne, impegnate esattamente come gli uomini. Quando ho scelto di lavorare era il 1976: accettavi tutti gli aspetti di questo mestiere". Una manciata di chilometri più in là, in attesa del braccio meccanico, resiste una casa cantoniera. Che profuma di caffè e pane tostato. Perché a Isili, alle dieci di mattina, si consuma il raduno delle casellanti. Si incontrano per la pausa, qualche chiacchiera e la colazione. "Ci siamo organizzate", racconta Eloisa Mocci, che da trentadue anni si sente "sequestrata dal tempo". "In questa casa cantoniera abbiamo rimesso in sesto il camino, per farci il caffè. La legna la compriamo noi. Purtroppo non c'è spazio per civetterie, nel nostro lavoro. Quando in televisione sento parlare di famiglie che piangono per mille euro al mese, mi viene da ridere: io vivo con poco più della metà di quei soldi e mi chiedo se mai potrò avere la stessa fortuna".

2 commenti:

dria ha detto...

Meraviglioso. Mi viene voglia di trovare una lambretta vecchio modello e di andare là a vedere di persona.

Anonimo ha detto...

imparato molto