So che posso sembrare palloso, ma fate come feci io con i film francesi le prime volte: provate. Un altro articolo ben scritto e molto interessante, non solo per gli amanti del calcio e della politica (internazionale e non), sui tifosi di estrema destra israeliani; so che diversi di voi già leggono Internazionale, e mi scuso se magari avete già letto questo articolo; per chi non lo legge, o per chi lo legge e magari non ha letto questo pezzo, da Internazionale nr.747
Odiano gli arabi, non vogliono sentir parlare di pace e sono organizzati come gli ultrà delle curve italiane. Sono i tifosi del Beitar Jerusalem, la squadra di calcio campione d’Israele
DAVID GOLDBLATT, PROSPECT, GRAN BRETAGNA.
Anche se è un uomo qualunque, ha certamente il nome giusto: Guy Israeli. Di giorno fa il consulente fiscale a Gerusalemme, di sera si trasforma nel “padrino” della Familia, gli ultrà della squadra campione di Israele, il Beitar Jerusalem. La partita di stasera è un’eliminatoria della Coppa d’Israele e il Beitar gioca in casa dell’Ahi Nazareth, un club arabo della bassa Galilea. A un certo punto abbandoniamo la strada principale, ben illuminata, per immergerci nel buio.
Alla luce dei fari riusciamo a vedere solo dei lampioni rotti. Le strade sono piene di buche e tutt’intorno ci sono cumuli di immondizia: siamo nell’Israele araba. Lo stadio dell’Ahi Nazareth si trova in cima a una collina alla periferia della città. Sulla sommità, i fasci di luce dei riflettori
squarciano il cielo. Nell’oscurità lampeggiano le luci blu delle automobili della polizia, dei cellulari
e dei blindati, mentre alcuni elicotteri volano sulle nostre teste. Grazie al numero sulla targa dell’auto, scopriamo che è presente anche uno dei più alti funzionari della polizia israeliana, oltre ad almeno seicento tra poliziotti e guardie di frontiera. C’è un uomo armato ogni sei o sette tifosi. Tutti sembrano nervosi. Come spesso accade in Israele, i motivi di tensione possono essere fatti risalire al 1948, l’anno della fondazione dello stato ebraico. O forse ad ancora prima. A differenza
di quanto succede nelle altre squadre del paese, nessun arabo, musulmano o cristiano ha mai giocato nel Beitar. I suoi tifosi hanno sempre fischiato i giocatori arabi e i tifosi delle squadre avversarie che prima delle partite non cantano la Hatikva, l’inno nazionale israeliano.
Ma negli ultimi dieci anni hanno anche inventato dei cori ferocemente antiarabi. Le ultime gravi tensioni sono iniziate a novembre, nel dodicesimo anniversario della morte di Yitzhak Rabin,
ucciso nel 1995 dall’ultranazionalista Yigal Amir. Per l’occasione tutte le tifoserie delle squadre israeliane hanno osservato un minuto di silenzio, tranne i supporter del Beitar. La Familia ha cantato cori in onore dell’assassino di Rabin e dei coloni della Cisgiordania. Qualche settimana dopo gli ultrà hanno partecipato con un gruppo di coloni a una cerimonia durante la quale è
stata piantata una bandiera israeliana su una collina occupata e destinata ad accogliere dei nuovi insediamenti a Gerusalemme est. Nelle partite successive si sono sentiti i soliti slogan, urlati con rabbia sempre più forte: “Maometto è morto” e “Morte agli arabi”. Per l’episodio dei cori in onore dell’assassino di Rabin, il Beitar è stato punito dalla Federazione calcistica israeliana e ha dovuto giocare l’incontro seguente, contro gli arabi del Bnei Sakhnin, a porte chiuse.
Lo stadio era vuoto. Sugli spalti c’era solo uno spettatore: Arcadi Gaydamak, il miliardario
russo-israeliano proprietario del Beitar dal 2005. Gaydamak ha assistito alla partita gridando, correndo sulle gradinate vuote e sventolando la bandiera della sua squadra. Poi, al novantesimo
minuto, il Bnei Sakhnin ha segnato. Il giorno successivo gli uffici della Federazione calcistica di Tel Aviv sono stati dati alle fiamme e sui muri sono comparse scritte con minacce di morte al presidente Avi Luzon. La condanna uficiale del Beitar verso quelle che sono sembrate a tutti delle rappresaglie organizzate dagli ultrà della Familia è stata molto blanda. Nella guerra vera, intanto, all’inizio del 2008 i razzi qassam lanciati da Gaza sulle città israeliane di Sderot e Ashkelon hanno ucciso due persone. Le forze armate israeliane hanno risposto con azioni militari nella zona di Gaza est, uccidendo oltre cento palestinesi. Poi, all’inizio di marzo, Ala Abu Dhaim, un arabo di Gerusalemme est, ha ucciso otto persone nella yeshiva Merkaz Harav, il più importante collegio rabbinico di Gerusalemme ovest, prima di essere ucciso a sua volta. Dopo la strage, la federazione israeliana ha proclamato un minuto di silenzio su tutti i campi del paese.Questa volta a non rispettarlo sono stati i tifosi dell’Ahi Nazareth e del Bnei Sakhnin.
La storia si ripete.
Alla luce dei fari riusciamo a vedere solo dei lampioni rotti. Le strade sono piene di buche e tutt’intorno ci sono cumuli di immondizia: siamo nell’Israele araba. Lo stadio dell’Ahi Nazareth si trova in cima a una collina alla periferia della città. Sulla sommità, i fasci di luce dei riflettori
squarciano il cielo. Nell’oscurità lampeggiano le luci blu delle automobili della polizia, dei cellulari
e dei blindati, mentre alcuni elicotteri volano sulle nostre teste. Grazie al numero sulla targa dell’auto, scopriamo che è presente anche uno dei più alti funzionari della polizia israeliana, oltre ad almeno seicento tra poliziotti e guardie di frontiera. C’è un uomo armato ogni sei o sette tifosi. Tutti sembrano nervosi. Come spesso accade in Israele, i motivi di tensione possono essere fatti risalire al 1948, l’anno della fondazione dello stato ebraico. O forse ad ancora prima. A differenza
di quanto succede nelle altre squadre del paese, nessun arabo, musulmano o cristiano ha mai giocato nel Beitar. I suoi tifosi hanno sempre fischiato i giocatori arabi e i tifosi delle squadre avversarie che prima delle partite non cantano la Hatikva, l’inno nazionale israeliano.
Ma negli ultimi dieci anni hanno anche inventato dei cori ferocemente antiarabi. Le ultime gravi tensioni sono iniziate a novembre, nel dodicesimo anniversario della morte di Yitzhak Rabin,
ucciso nel 1995 dall’ultranazionalista Yigal Amir. Per l’occasione tutte le tifoserie delle squadre israeliane hanno osservato un minuto di silenzio, tranne i supporter del Beitar. La Familia ha cantato cori in onore dell’assassino di Rabin e dei coloni della Cisgiordania. Qualche settimana dopo gli ultrà hanno partecipato con un gruppo di coloni a una cerimonia durante la quale è
stata piantata una bandiera israeliana su una collina occupata e destinata ad accogliere dei nuovi insediamenti a Gerusalemme est. Nelle partite successive si sono sentiti i soliti slogan, urlati con rabbia sempre più forte: “Maometto è morto” e “Morte agli arabi”. Per l’episodio dei cori in onore dell’assassino di Rabin, il Beitar è stato punito dalla Federazione calcistica israeliana e ha dovuto giocare l’incontro seguente, contro gli arabi del Bnei Sakhnin, a porte chiuse.
Lo stadio era vuoto. Sugli spalti c’era solo uno spettatore: Arcadi Gaydamak, il miliardario
russo-israeliano proprietario del Beitar dal 2005. Gaydamak ha assistito alla partita gridando, correndo sulle gradinate vuote e sventolando la bandiera della sua squadra. Poi, al novantesimo
minuto, il Bnei Sakhnin ha segnato. Il giorno successivo gli uffici della Federazione calcistica di Tel Aviv sono stati dati alle fiamme e sui muri sono comparse scritte con minacce di morte al presidente Avi Luzon. La condanna uficiale del Beitar verso quelle che sono sembrate a tutti delle rappresaglie organizzate dagli ultrà della Familia è stata molto blanda. Nella guerra vera, intanto, all’inizio del 2008 i razzi qassam lanciati da Gaza sulle città israeliane di Sderot e Ashkelon hanno ucciso due persone. Le forze armate israeliane hanno risposto con azioni militari nella zona di Gaza est, uccidendo oltre cento palestinesi. Poi, all’inizio di marzo, Ala Abu Dhaim, un arabo di Gerusalemme est, ha ucciso otto persone nella yeshiva Merkaz Harav, il più importante collegio rabbinico di Gerusalemme ovest, prima di essere ucciso a sua volta. Dopo la strage, la federazione israeliana ha proclamato un minuto di silenzio su tutti i campi del paese.Questa volta a non rispettarlo sono stati i tifosi dell’Ahi Nazareth e del Bnei Sakhnin.
La storia si ripete.
continua
1 commento:
che tristezza!
punkow
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