parte 4
L’impennata dei prezzi petroliferi sta già causando gravi problemi alla gente comune, minacciando la crescita economica mondiale e resuscitando lo spettro dell’inflazione. I rincari sono stati particolarmente forti in alcuni mercati emergenti come la Cina e l’India, che negli ultimi anni hanno frenato l’inflazione mondiale esportando beni e servizi a basso costo. Oggi invece questi paesi minacciano di esportare inflazione, soprattutto se spariranno i controlli sui prezzi dell’energia. Pagare 200 dollari per un barile di petrolio nel 2009 sarebbe un colpo durissimo, e non basterebbe una “tassa verde” sulle auto di grossa cilindrata per ridurne l’impatto. Certo, lo shock costringerebbe interi paesi a diventare “verdi” molto più rapidamente di quanto stiano facendo: in particolare risparmiando energia e mettendo a punto e adottando nuovi combustibili non fossili. Ma questo non può avvenire in 24 mesi. Ecco perché le previsioni sono fosche. Alcuni esperti prevedono un’accelerazione del trasferimento della ricchezza dai paesi consumatori ai paesi produttori di petrolio che potrebbe alterare gli equilibri mondiali, dando una mano a regimi come quelli al potere in Iran, in Venezuela o in Russia. Secondo il direttore della Morgan Stanley, Stephen Jen, con il petrolio a 200 dollari al barile il valore delle riserve petrolifere dei paesi del Golfo, esclusi Iran e Iraq, salirebbe ino a 95mila miliardi di dollari, circa il doppio del valore dei mercati azionari, il che trasformerebbe i fondi sovrani dei paesi petroliferi (che investono i proventi del greggio) nei veri padroni del mercato. Alcuni ottimisti sono convinti che questi guadagni, se ben investiti, potrebbero far entrare il Medio Oriente nel mondo moderno. Ma tanti piccoli paesi hanno già constatato la dificoltà di investire in modo saggio i profitti provenienti dal petrolio. La ricchezza creata dal greggio può diventare una maledizione. Come osserva Michael L. Ross, docente di scienze politiche all’università della California a Los Angeles, la percentuale di guerre in corso nei paesi produttori di petrolio è in aumento. Anche il numero dei produttori di petrolio è in aumento, e crescerà ancora. Gli ultimi arrivati sono spesso paesi piccoli e non attrezzati ad affrontare la corruzione. Nessun settore industriale è al riparo dal petrolio alle stelle. L’aumento vertiginoso dei prezzi del combustibile ha già spinto la American Airlines ad annunciare il taglio di alcuni voli. Anche Air France-Klm prevede un calo del 30 per cento dei profitti per il 2008, e l’amministratore delegato Jean-Cyril Spinetta ha spiegato che il petrolio a 200 dollari sarebbe uno shock più grave dell’11 settembre o dell’epidemia di Sars del 2003. “È più di un semplice cambiamento: è una rivoluzione”, ha dichiarato Spinetta. “In Europa, negli Stati Uniti e in Asia vedremo fallire rapidamente molte aziende. E ci sarà una ristrutturazione delle reti, un taglio delle rotte, una riduzione delle flotte aeree”. Gli effetti di questi tagli sommati a quelli delle fusioni potrebbero provocare la chiusura degli aeroporti di tante città di medie dimensioni, dalla Toscana al Midwest degli Stati Uniti. Il calo di fiducia dei consumatori americani può essere un segnale di quello che succederà in altri paesi. Negli Stati Uniti ha toccato il livello più basso degli ultimi quindici anni. Le statistiche del dipartimento dell’energia indicano che la benzina a un dollaro al litro sta costringendo gli statunitensi a usare di meno l’auto. Quest’anno si prevede che negli Usa il consumo di carburante calerà per la prima volta dal 1991. E sembra improbabile che gli incentivi fiscali possano invertire la tendenza.
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L’impennata dei prezzi petroliferi sta già causando gravi problemi alla gente comune, minacciando la crescita economica mondiale e resuscitando lo spettro dell’inflazione. I rincari sono stati particolarmente forti in alcuni mercati emergenti come la Cina e l’India, che negli ultimi anni hanno frenato l’inflazione mondiale esportando beni e servizi a basso costo. Oggi invece questi paesi minacciano di esportare inflazione, soprattutto se spariranno i controlli sui prezzi dell’energia. Pagare 200 dollari per un barile di petrolio nel 2009 sarebbe un colpo durissimo, e non basterebbe una “tassa verde” sulle auto di grossa cilindrata per ridurne l’impatto. Certo, lo shock costringerebbe interi paesi a diventare “verdi” molto più rapidamente di quanto stiano facendo: in particolare risparmiando energia e mettendo a punto e adottando nuovi combustibili non fossili. Ma questo non può avvenire in 24 mesi. Ecco perché le previsioni sono fosche. Alcuni esperti prevedono un’accelerazione del trasferimento della ricchezza dai paesi consumatori ai paesi produttori di petrolio che potrebbe alterare gli equilibri mondiali, dando una mano a regimi come quelli al potere in Iran, in Venezuela o in Russia. Secondo il direttore della Morgan Stanley, Stephen Jen, con il petrolio a 200 dollari al barile il valore delle riserve petrolifere dei paesi del Golfo, esclusi Iran e Iraq, salirebbe ino a 95mila miliardi di dollari, circa il doppio del valore dei mercati azionari, il che trasformerebbe i fondi sovrani dei paesi petroliferi (che investono i proventi del greggio) nei veri padroni del mercato. Alcuni ottimisti sono convinti che questi guadagni, se ben investiti, potrebbero far entrare il Medio Oriente nel mondo moderno. Ma tanti piccoli paesi hanno già constatato la dificoltà di investire in modo saggio i profitti provenienti dal petrolio. La ricchezza creata dal greggio può diventare una maledizione. Come osserva Michael L. Ross, docente di scienze politiche all’università della California a Los Angeles, la percentuale di guerre in corso nei paesi produttori di petrolio è in aumento. Anche il numero dei produttori di petrolio è in aumento, e crescerà ancora. Gli ultimi arrivati sono spesso paesi piccoli e non attrezzati ad affrontare la corruzione. Nessun settore industriale è al riparo dal petrolio alle stelle. L’aumento vertiginoso dei prezzi del combustibile ha già spinto la American Airlines ad annunciare il taglio di alcuni voli. Anche Air France-Klm prevede un calo del 30 per cento dei profitti per il 2008, e l’amministratore delegato Jean-Cyril Spinetta ha spiegato che il petrolio a 200 dollari sarebbe uno shock più grave dell’11 settembre o dell’epidemia di Sars del 2003. “È più di un semplice cambiamento: è una rivoluzione”, ha dichiarato Spinetta. “In Europa, negli Stati Uniti e in Asia vedremo fallire rapidamente molte aziende. E ci sarà una ristrutturazione delle reti, un taglio delle rotte, una riduzione delle flotte aeree”. Gli effetti di questi tagli sommati a quelli delle fusioni potrebbero provocare la chiusura degli aeroporti di tante città di medie dimensioni, dalla Toscana al Midwest degli Stati Uniti. Il calo di fiducia dei consumatori americani può essere un segnale di quello che succederà in altri paesi. Negli Stati Uniti ha toccato il livello più basso degli ultimi quindici anni. Le statistiche del dipartimento dell’energia indicano che la benzina a un dollaro al litro sta costringendo gli statunitensi a usare di meno l’auto. Quest’anno si prevede che negli Usa il consumo di carburante calerà per la prima volta dal 1991. E sembra improbabile che gli incentivi fiscali possano invertire la tendenza.
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1 commento:
"Gli effetti di questi tagli sommati a quelli delle fusioni potrebbero provocare la chiusura degli aeroporti di tante città di medie dimensioni, dalla Toscana ...."
Cazzo, spero che mi lascino Pisa! Su Firenze i voli sono costosissimi....
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