Com’è possibile che intellettuali, poeti e psichiatri come Karadzic facessero cose del genere? Ci ho messo un po’ a capire che questa era la domanda sbagliata. È sbagliata perché dà per scontato che le persone educate, gli artisti, abbiano standard morali superiori a quelli dei comuni mortali. Spesso non è vero. Quando lavoravo ai miei libri sui criminali di guerra sotto processo all’Aja, ho scoperto che i criminali vengono da tutti gli strati sociali. Ci sono professori, scrittori e meccanici, camerieri, impiegati di banca e contadini. La nostra prima reazione è quella di definire “mostri”
Radovan Karadzic, Ratko Mladic e Slobodan Milosevic, perché è il modo più facile di sfuggire
al terribile pensiero che anche noi potremmo compiere delle atrocità. Gli esseri umani hanno la capacità di fare sia il bene sia il male. Ma hanno anche la possibilità di scegliere. Karadzic ha scelto il potere. E avere il potere in tempi di guerra può comportare un prezzo pesante, che ora pagherà.
Un futuro diverso
I giovani serbi, i ragazzi nati per esempio nel 1990, con l’arresto di Karadzic hanno la possibilità
di studiare questo capitolo della loro storia. Uno degli aspetti più complicati dei tredici anni passati dagli accordi di Dayton è che la Serbia, pur essendo il principale aggressore, vive nella negazione. I serbi si sentono vittime, anche se hanno votato tre volte per Milosevic, hanno sostenuto il partito fascista di Vojislav Seselj e hanno voltato le spalle all’Europa e al mondo. La cattura di Karadzic offre a tutti loro l’opportunità di aprire una nuova pagina. Oggi i serbi dovrebbero guardarsi dentro e riconoscere il contributo che hanno dato alla politica del loro paese negli ultimi venti anni. Forse l’effetto più importante di questo arresto tardivo è un altro: il processo a Karadzic favorirà la ricostruzione della verità sulle guerre. Al di là delle polemiche sul Tribunale dell’Aja, in ogni processo emerge un pezzo di verità. Quello di cui la gente di Belgrado, Zagabria, Sarajevo e Pristina ha bisogno più di ogni altra cosa è la verità. Sappiamo che senza verità non c’è giustizia, ma nel caso di queste guerre non ci sarà verità senza giustizia.
I giovani serbi, i ragazzi nati per esempio nel 1990, con l’arresto di Karadzic hanno la possibilità
di studiare questo capitolo della loro storia. Uno degli aspetti più complicati dei tredici anni passati dagli accordi di Dayton è che la Serbia, pur essendo il principale aggressore, vive nella negazione. I serbi si sentono vittime, anche se hanno votato tre volte per Milosevic, hanno sostenuto il partito fascista di Vojislav Seselj e hanno voltato le spalle all’Europa e al mondo. La cattura di Karadzic offre a tutti loro l’opportunità di aprire una nuova pagina. Oggi i serbi dovrebbero guardarsi dentro e riconoscere il contributo che hanno dato alla politica del loro paese negli ultimi venti anni. Forse l’effetto più importante di questo arresto tardivo è un altro: il processo a Karadzic favorirà la ricostruzione della verità sulle guerre. Al di là delle polemiche sul Tribunale dell’Aja, in ogni processo emerge un pezzo di verità. Quello di cui la gente di Belgrado, Zagabria, Sarajevo e Pristina ha bisogno più di ogni altra cosa è la verità. Sappiamo che senza verità non c’è giustizia, ma nel caso di queste guerre non ci sarà verità senza giustizia.
Slavenka Drakulic è una scrittrice croata che vive in Svezia. Ha scritto Come se io non ci fossi (Rizzoli 2000).
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