A ogni costo
“Vogliamo acquistare circa 400 ettari all’anno. Sappiamo cosa viene messo in vendita grazie a molte fonti. Appena ci arriva la notizia, spesso la nostra reazione è ‘Compriamo!’”, spiega una portavoce della fondazione. “Alla gente piace l’idea di comprare boschi, perché sono qualcosa di tangibile. Molti sono convinti che il governo non faccia abbastanza, anzi che stia andando nella direzione sbagliata, per quanto riguarda la difesa della natura”. Anche negli Stati Uniti le organizzazioni conservazioniste si stanno organizzando per comprare le terre demaniali messe in vendita dal governo. “È un modello nuovo di politica della tutela ambientale”, osserva Kim Vacariu, che collabora al progetto Wildland negli Usa, con cui si punta a mettere al sicuro centinaia di migliaia di ettari di terra dall’Atlantico al Pacifico. “È eccessivo pretendere che lo faccia il governo. L’unico modo per proteggere questi terreni è comprarli quando sono in vendita”. I conservazionisti con molti soldi a disposizione sono tendenzialmente benvisti nei paesi ricchi come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, perché sostengono o incrementano il prezzo di mercato della terra. Nei paesi poveri, invece, suscitano spesso timore e ostilità. Non è strano. I conservazionisti stranieri hanno una pessima reputazione nei paesi in via di sviluppo. Prima ci sono stati i colonialisti che hanno preso il controllo dei paesi e delle loro comunità per sfruttarne le risorse; poi sono arrivati i conservazionisti che hanno fatto le stesse identiche cose, ma con la pretesa di salvaguardare l’ambiente. In tutti i paesi in via di sviluppo decine di migliaia di persone sono state espropriate delle loro terre per istituire parchi faunistici e altre aree protette. Alle popolazioni è vietato cacciare, tagliare gli alberi, estrarre il materiale da costruzione, coltivare nuove piante e fare qualunque cosa che sia ritenuta una minaccia per la fauna o per l’ecosistema. Le terre dove quelle popolazioni abitavano da secoli sono state improvvisamente trasformate in idilliache riserve naturali, senza alcun riguardo per gli esseri umani che ci abitavano. “La conservazione della natura ha danneggiato enormemente le popolazioni indigene di tutta l’Africa”, osserva Simon Colchester, direttore del Forest People Programme, che lavora nei paesi tropicali. Le sue ricerche hanno documentato espulsioni forzate, violazioni dei diritti umani e la graduale distruzione delle fonti di sussistenza come dirette conseguenze dell’intervento dei conservazionisti nel continente. In Botswana, per esempio, i conservazionisti locali collaborarono con il governo per espellere i boscimani dalle loro terre ancestrali che sono state trasformate in un parco nazionale. Anche in India i nomadi gujjar dell’Uttar Pradesh hanno subìto le conseguenze delle iniziative delle organizzazioni conservazioniste internazionali. In Camerun, interi villaggi sono stati costretti a sloggiare da una regione della foresta particolarmente ricca di risorse. Gli aborigeni delle isole Palawan nelle Filippine sono stati obbligati ad abbandonare i loro villaggi per far posto a un parco nazionale.
continua
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