Su D la repubblica delle donne, nr. 609, Laura Piccinini scrive un interessante articolo che in fondo dice quello che, da qualche anno, sto teorizzando: i musicisti ormai sono costantemente in tour.
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Piccoli tour tra amici (ricchi e no)
Star economy
Vendere album non interessa più. Adesso i musicisti vogliono liberarsi da contratti capestro, e guadagnare cash. Così, via dalle major, vendono T-shirt, danno mega concerti e suonano perfino a casa dei fan (grazie a un'asta online)
di Laura Piccinini
Non avendo abbastanza budget per farsi pubblicità, il 44enne inglese Richard Davies, fondatore del primo sito d'aste per concerti privati di rock e popstar, sperava proprio nel passaparola. A mezzo stampa, oltre che ovviamente su forum o blog e tutto quello che potesse far girare il concetto: "Volete che le vostre band preferite vi suonino nel terrazzo o alla festa di compleanno di vostra figlia, per 100 euro"? Il mensile economico Forbes aveva anticipato il fenomeno qualche anno fa, ma più come pratica da nuovi ricchi, finché a Davies è arrivata l'idea per democratizzare il business. Spiega che gli è venuta sommando tre fattori: il milione di sterline pagato da Roman Abramovich per una Amy Winehouse live nella galleria d'arte della sua fidanzata, le 100 sterline bastate a Pete Doherty per andare a suonare al compleanno di una fan su richiesta del padre di lei (ma due settimane dopo ha preteso 15mila dollari da un imprenditore californiano che lo voleva vedere strimpellare in soggiorno); e poi certo la leggenda del ragazzo che barattò una graffetta su eBay per ritrovarsi proprietario di una casa in 14 mosse. Non era ancora avviato il sito, Owngig.com, che è uscito un pezzo sul Sunday Times: "Se il 2007 era stato l'anno delle reunion (i Led Zeppelin o le Spice), l'estate del 2008 sarà la stagione dei concerti privati". L'autrice della serie di saggi pettegoli sui mondi dello spettacolo, l'ex modella Imogen Edwards-Jones, è intervenuta subito sul tema, anche lei con un articolo, anche per pubblicizzare il suo ultimo Pop Babylon che guarda caso è sui retroscena dell'ambiente musicale. Eppoi la free press, i tabloid, tutti a ridare gli stessi numeri, peggio che con le dichiarazioni dei redditi. Bisognava coinvolgere nel dibattito qualcuno di autorevole, per esempio il critico musicale americano del più snob tra i settimanali, ovvero il New Yorker, Sasha Frere-Jones. Uno che non vuole essere definito esperto rock ma pop, è tra i primi trenta critici al mondo secondo il trimestrale "cugino" dell'Economist Intelligent Life, ha un seguitissimo e invidiato blog e una sua band semiabbandonata (dietro ogni grande critico musicale ce n'è quasi sempre una). E scrive di musica per normali, senza gergo da addetti, "come se il lettore venisse a sapere di questo o quello solo dai miei articoli". Con la scusa di interpellarlo sul fenomeno musical-economico del momento, tanto valeva costringerlo a tenere una lezioncina al telefono su "cosa diavolo succede nella musica quando compriamo una maglietta dei Crystal Castles, scopriamo il nostro tormentone personale su My Space, puntiamo 30 euro per un concerto degli XX (ciascuno riempia lo spazio con i suoi desiderata). Naturalmente l'imperturbabile Frere-Jones non si stupisce al fenomeno dei concerti privati, che "gli fanno venire in mente i Medici quindi niente di nuovo". Ma capisce che facciano scattare il solito giochino delle cifre. Non lo sorprende "la rapacità degli Stones, notoriamente avidi e che se già prendono 4-500 dollari a biglietto per concerti da migliaia di spettatori, figurarsi se non ne pretendono 4 milioni e più per i 60 anni di un signorotto texano". Idem per Elton John, uno che "non è mai stato particolarmente restio nel muoversi per soldi verso chiunque gliene offrisse abbastanza, da un milione di sterline in su". Ci sarebbe Pete Doherty e le sue tariffe schizoidi, alla Robin Hood. La teoria del fondatore di Owngig, che con le aste su Internet si potrà pagare un concerto di uno come lui quanto una graffetta, non convince il nostro critico. "Doherty è un caso limite, non ritengo possa essere indicativo di nessun fenomeno, non segue le stesse regole degli altri, è un cracked e ci concediate la non traduzione, una figura pubblica di tossico non pentito". Moralista, Frere-Jones? "Ma no, non sono neppure negativo sulla sua musica, eppoi è un problema suo". Non che le rockstar non ne abbiano avuti di simili. "Basta pensare agli Stones e Iggy Pop ai loro apici di carriera. Ma questo sembra farlo in un modo diverso. Con strafottenza, più immorale degli altri". Cosa sia successo per arrivare a un caso Pete Doherty, si sa. "Oggi la gente ha bisogno di pillole di gossip 20-30 volte al giorno e tutti hanno una macchina fotografica in tasca. Una volta la vita di una rockstar non si doveva documentare ogni 5 minuti, non c'erano tanti tabloid e non c'era Internet. I paparazzi come Ron Galella avevano un loro codice di dignità, una specie di gentlemen agreement con i loro pedinati. Amy Winehouse non è la prima star stonata 24 ore al giorno, ma adesso i media sembrano non poter più rinunciare a scegliere le vittime sacrificali e guardarle morire in pubblico come avvoltoi. Pubblico compreso, e che trova il tutto quasi più eccitante di un concertone". Come è cominciata, o con chi? Frere-Jones pensa come tanti che il mondo si divida in prima di Britney e dopo Britney. "O meglio, la povera Britney Spears. La prima protagonista di un'opera tragica in divenire". C'è un'altra distinzione, importante. "In America non avrebbe mai potuto esserci un Pete Doherty e lo dimostra il fatto che la sua musica da noi non è granché conosciuta. Solo Amy ha avuto un successo enorme, ma lei è una donna. Noi rimaniamo una nazione puritana, affetta dal "complesso della vergine", quello che porta a perseguitare le Britney e le Lohan (Lindsay), per consumare il rito di cui sopra. Con lo spettatore biecamente embedded nello spettacolo del gossip. Che con la musica c'entra abbastanza poco".
continua
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