No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20080816

visti da dentro


Da Internazionale nr.754


Il paesaggio del ritorno


di Helene Paraskeva





Ogni estate vado in Grecia. “Beata te, unisci l’utile al dilettevole!”, commentano amici e conoscenti. In verità questo viaggio è un rituale privato, che ripercorre il primo viaggio di emigrazione, compiuto tempo fa. Comporta insidie e sorprese, nostalgia e banalità, come in una parodia del nostos omerico. Un viaggio via mare, perché con l’aereo il fascino svanisce, diventa solo spostamento. Il ritorno presuppone preparativi lunghi e onerosi. Bisogna risparmiare tutto l’anno perché il migrante deve tornare carico di doni, dimostrando così che gli affetti sono inalterati e che il sacrificio dell’allontanamento non è stato inutile. La partenza invece ha tutte le banali caratteristiche del primo giorno di vacanza: i bagagli che traboccano, la fila sull’autostrada, le lunghe attese ai caselli autostradali. Per scacciare la noia durante il viaggio riciclo il vecchio indovinello: qual è la città più bella d’Italia? Brindisi, quando si parte. E quella più brutta? Brindisi, quando si torna. Adesso però, non vale più. I traghetti non attraccano più al vecchio porto. Il porto di Brindisi è stato trasferito altrove, in un luogo anonimo. Su questo spiazzo sterminato le macchine aspettano sotto il solleone. L’ombra scarseggia ma non è ancora in vendita, ancora per poco, temo. Qui, accanto alle auto in sosta e sopra le coperte distese sull’asfalto fumante, si sistemano le famiglie di migranti turchi e albanesi. In viaggio di ritorno
anche loro. I motivi decorativi delle vecchie coperte marroni mi inteneriscono come le madeleine di Proust. Mi riportano alla prima infanzia. Il ritorno va venerato perché è anche un viaggio nel tempo. L’emozione dell’arrivo si maschera dietro occhiali scuri. Per fortuna la confusione di autovetture e passeggeri che sgorgano dalla pancia del traghetto rende tutto meno lacrimevole. Ci sono poi le novità da capire e digerire rapidamente, come la trasformazione del territorio, le nuove strade, perfino gli slogan pubblicitari che rivelano l’evoluzione della lingua. Presto mi toccherà la prova di autenticità: dovrò dimostrare di non aver perso la mia identità nel processo d’integrazione. Anche Ulisse, a distanza di vent’anni, deve stendere l’arco con la stessa forza e abilità di quand’era giovane. Il rituale è antico e si compie all’infinito. Non mancano gli italiani in vacanza, che all’andata si distinguono per la raffinatezza nel vestire. Anche per loro il ritorno in patria assume un significato particolare: tutti altrettanto abbronzati, trasformano l’esibizione in familiarità e si scoprono, finalmente, fratelli. Prima dell’imbarco sui traghetti, colpiscono i ragazzi migranti che aspettano davanti al porto di Patrasso, seduti sul muretto, osservando in silenzio le vetture che rientrano in Italia. Nei loro occhi si legge il desiderio di partire per un viaggio da clandestini verso la terra promessa. Spesso si assiste a scene disperate, quando qualcuno di loro riesce ad aggrapparsi a un camion. Ma l’avventura dura poco, vengono scoperti e costretti a scendere. I giovani migranti tornano allora silenziosamente a sedersi sul muretto, insieme agli altri, e riprendono l’attesa. Il paesaggio del mio ritorno è questo: banale e venerabile.





HELENE PARASKEVA è nata ad Atene e vive a Roma. Ha scritto Nell’uovo cosmico (2006) e Il tragediometro e altre storie (2003), pubblicati da Fara editore. È tra gli autori di San Nicola (La Meridiana 2006).

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