No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20080804

altri preti

Mi è presa così. Sempre per la serie "altri sacerdoti", uno scritto di don Alessandro Santoro sul cardinal Dionigi Tettamanzi. Da Liberazione di domenica scorsa.
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L'invito del cardinal Tettamanzi ai cattolici: occupatevi del Ramadam dei fratelli musulmani
Cattolici, musulmani e il sogno di Dio
Per fortuna c'è la diocesi di Milano...

Ora noi delle Piagge ci sentiamo meno soli

di Alessandro Santoro, prete

La comunità delle Piagge, come tutte le parrocchie, nelle celebrazioni di Pasqua e di Natale spezza insieme il pane. Ma il nostro è un pane speciale. Ce lo regalano ogni anno, da molti anni, le donne rom che vivono nel nostro quartiere. Sono musulmane e lo preparano apposta per noi. Lo presentano all'altare insieme alle loro famiglie e condividono con la comunità una preghiera della loro tradizione. Quando si celebra la vita è sempre così: viene naturale incontrarsi, scambiare, donarsi attraverso segni che sono o diventano importanti. Nessuno glielo ha chiesto, non ce n'è stato bisogno. E' per questo, forse, che quando ho saputo che la Diocesi di Milano ha invitato i suoi parroci a inserire nel prossimo bollettino un accenno alla festa del Ramadam, sollecitando i propri fedeli ad uno scambio di «auguri del bene» con il musulmano conoscente o vicino di casa, mi è sembrato come di tornare a respirare. Don Giampiero Alberti, responsabile per il dialogo con l'Islam, l'ha definita un'occasione per iniziare o proseguire un incontro nello spirito del dialogo tanto auspicato e tanto necessario. I parroci potranno scrivere un testo proprio, oppure aspettare il primo settembre auguri in più lingue firmati dallo stesso cardinale Dionigi Tettamanzi, da consegnare a mano o girare in email. Ho riletto ancora la notizia, ho respirato a fondo e mi è venuto da pensare che il grande sogno di Dio per la storia dell'umanità, che è quello della convivialità delle differenze, si può ancora realizzare se riusciamo finalmente a scardinare la diffidenza che spesso, soprattutto negli ultimi anni, ci ha consumato a suon di stereotipi e di qualunquismi. Io da qualche anno nei giorni di Ramadam accompagno nel digiuno, da fratello, le sorelle e i fratelli musulmani che vivono alle Piagge. Quando arriva la Quaresima sono loro che camminano con noi nel digiuno, come fa lo stesso Imam di Firenze. Ce lo regaliamo senza fare rumore, condividendo la ricerca di quello stesso Dio che vogliamo madre, padre, fratello, sorella ma soprattutto compagno della vita di ognuno di noi. Un digiuno che ci spoglia e ci stringe all'essenza, senza tante parole ma con una profonda speranza.
Se tutte le diocesi e i parroci d'Italia sostenessero e riproponessero ai propri fedeli la scelta di Milano, sarebbe un segnale importante per la città, per la Lombardia, per tutto il Nord e per il Paese. Era solo di ieri, infatti, il divieto che ha di fatto impedito a molti musulmani di quella città di scegliersi un tempo e un luogo per pregare dio. Anche noi delle Piagge, alla periferia di Firenze, ci sentiremmo un po' meno soli perché abbiamo la certezza che è possibile sconfiggere insieme la paura che ci ha portato a separare le religioni, facendole sentire sempre più distanti l'una dall'altra fino a creare lo spauracchio delle invasioni barbariche. Se il primo giorno di Ramadam come cristiani scegliessimo tutti il digiuno, per ascoltare dio seguendo il tempo di questi nostri fratelli, avremmo sconfitto la paura, la follia politica, l'assurdo cui la debolezza della chiesa fino ad oggi non è riuscita davvero a rispondere. Questa radicalità l'abbiamo persa perché la chiesa si è appropriata delle parole del potere, che sono fatte di tanti "se" e di tanti "ma", di distinguo che non dovrebbero appartenere al pensiero e all'agire del cristiano. In nome della sicurezza, della tranquillità e del benessere individuali, le persone si piegano di fronte alla paura, condannano a priori, condannano per sentito dire, condannano. Dentro realtà in cui la contaminazione e il meticciato fanno la vita quotidiana, si vivono e si vedono cose così diverse da quelle che ci vengono proiettate addosso, che sentiamo il bisogno di prenderne distanza. Quando si riesce a mettere insieme persone di culture e religioni diverse, ci si accorge che la convivenza non solo è possibile, ma è una grande ricchezza e crea una solidarietà nuova, inaspettata.Come comunità delle Piagge abbiamo scritto una lettera aperta a tutti i cristiani. Gesù parla agli uomini e alle donne come a fratelli e a sorelle. Chiediamo a noi stessi in che modo viviamo questa fratellanza. Dove sono tutti coloro che credono nella Parola che si fa pane quando nel Paese e nelle nostre città infuria il razzismo o la repressione? Quel pane che se non condiviso può soltanto marcire o ingrassare le pance di pochi? Siamo indignati dei troppi amen, dei così sia, che vuoti, vengono innalzati verso quel Dio che ci dice di essere fratelli.Siamo convinti che dobbiamo sentirci custodi e non guardiani degli altri, e se siamo fratelli non possiamo far altro che aprire a tutti le mani e le porte, spezzare il tanto o il poco che abbiamo e condividerlo. Abbiamo questo dovere profondo perché dio stesso si fa plurale: non è solo Padre, ma si fa madre, figlio, spirito. Non possiamo chiuderci, non possiamo non rompere questo muro "di carte e di incenso" come lo chiamerebbe don Lorenzo Milani. Dobbiamo essere capaci di dire a noi stessi e agli altri: o siamo accoglienti o non siamo cristiani. O siamo capaci di accogliere, o siamo distanti dalla Verità e dal vangelo. Cristo ci chiama alla parresia, a una manifestazione profonda e aperta, quella che chiama la capacità di gridare dai tetti la nostra verità senza paura e con coraggio sapendo che frammenti di verità di quel dio che si è fatto uomo si trovano nella vita di tutti quelli che ci stanno accanto e che spetta a noi andarli a cercare e riconoscerli.Non è difficile. Al riparo dalle ideologie e dalle cronache questo accade tutti i giorni. Nella comunità delle Piagge siamo più di 1500, tutti diversi e viviamo insieme. Non facciamo niente per progettare questa possibile convivenza: viene da sé, perché ci diamo l'occasione di incontrarci, di ascoltarci, di costruire insieme le nostre lotte e di azzerare la distanza procurata altrove che a volte rischia di allontanarci. Siamo una comunità che non nasconde niente della sua identità, della sua ricerca testarda, convinta, di dio tra le pagine del vangelo. Trasudiamo, però, del bisogno della verità dell'altro.

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