L'amico Massi mi segnala questo pezzo apparso su Repubblica ieri. Si tratta delle bande di narcos messicane, di un minimo di "storia" della droga, ma soprattutto del reale problema della domanda di droga. Dovrebbe far riflettere sia chi consuma droga, sia i governi di tutto il mondo (ma è una speranza vana). L'autore è lo scrittore Don Wislow. Ho inserito alcuni link a Wikipedia per chi è più curioso.
Repubblica — 17 marzo 2010 pagina 49 sezione: R2
Parecchi anni fa, sulla "guerra alla droga" degli Stati Uniti e sull' affermarsi dei cartelli della droga messicani scrissi un romanzo, Il potere del cane. Quando gli editori e gli amici mi chiedevano spiegazioni sull' "esagerata" violenza contenuta nel libro, la mia risposta era che, in qualche modo, una buona parte di quello che il libro raccontava era già accaduto nella realtà. D'allora, a mano a mano che i cartelli della droga messicani sono arrivati ad avere un livello di potere pari o persino superiore a quello del governo, è accaduto anche tutto il resto. L' emergere dei cartelli della droga è un classico esempio di "legge dalle conseguenze non previste". Quando negli anni Venti, il traffico di droga in arrivo dal Messico cominciò a diventare un problema per gli Stati Uniti, Washington si rivolse a Città del Messico sollecitandola ad annientare le coltivazioni di oppio nelle montagne dello stato di Sinaloa. Durante la Seconda guerra mondiale, però, la disperata necessità di sostituire l' oppio - la base per la morfina, che fino all' intervento dei sottomarini tedeschi era arrivato dal Sudest Asiatico, portò Washington a rivolgersi nuovamente al Messico, chiedendogli di aumentare la propria produzione di oppio, e a costruire persino delle ferrovie per un trasporto più rapido della droga a valle. Alla fine della guerra, gli Stati Uniti si ritrovarono con un serio problema di dipendenza da eroina, e così Washington cambiò opinione ancora una volta, chiedendo di nuovo al Messico di eliminare i potenti gomeros, i signori della droga, che si erano arricchiti sempre di più perché la produzione dell'oppio era diventata una parte integrante dell' economia dello stato di Sinaloa. Nel 1975, una task force congiunta Usa-Messico cacciò letteralmente via i gomeros dalle montagne...creando un mostro. Il Messico fu diviso, innanzitutto, in territori chiamati plazas, piazze, da un ex poliziotto, e importante gomero, Miguel Angel Gallardo il quale aveva colto l' opportunità per riorganizzare i suoi litigiosi colleghi in un' unica organizzazione, La Federación che decise di rinunciare quasi del tutto alla coltivazione dell'oppio per concentrarsi invece sul contrabbando della cocaina proveniente dal Sudamerica, attraverso il Messico, verso gli Stati Uniti. Tenere unita La Federación si rivelò impossibile e le varie plazas finirono per ingaggiare una guerra tra loro nel tentativo di dominare il lucrativo mercato statunitense. La Federación ora non c'è più ed è stata sostituita dai cosiddetti cartelli con base nella Baja (California), nella zona del Golfo, nella città di Juarez e nello stato di Sinaloa. Da questa storia deriva il bagno di sangue e il crescente orrore al quale si assiste ora. La situazione è caotica: il gruppo di Sinaloa di Chapo Guzman e in guerra con la famiglia Arellano-Felix di Tijuana per il controllo della Baja, ma all' interno dei gruppi spesso si verificano delle rivolte interne senza risparmio di colpi. Il gruppo Beltran Leyva, staccatosi da una costola di quello di Sinaloa, recentemente ha ucciso il figlio di Guzman, mentre "El Teo" Garcia Simental, un ex sicario della famiglia Arellano-Felix e ora alleato di Guzman, usa mettere i suoi vecchi amici in bidoni pieni di acido. Gli Arellano-Felix hanno risposto con ancora più brutalità. Gli Zetas, in origine uno speciale corpo paramilitare del gruppo antidroga della polizia, eseguono decapitazioni sia per conto del gruppo del Golfo sia per conto di quello di Juarez e recentemente hanno formato una propria plaza. Questi gruppi, mentre si uccidono a vicenda, sono anche in guerra con il governo messicano, che sta finalmente compiendo un serio sforzo per distruggere i cartelli, che sono, secondo qualsivoglia definizione, delle vere organizzazioni terroristiche - le loro azioni, odiosamente violente, hanno l' obiettivo di terrorizzare. Il massacro della famiglia in lutto di un tenente della Marina ucciso durante l'arresto di un membro di un cartello e l' assassinio, come recentemente, di tre persone, due delle quali cittadini statunitensi, mirano a intimidire la polizia, i procuratori di Stato, i cittadini e sì, anche i governi che li combattono. La conseguenza è un virtuale stato di guerra civile in Messico, con un numero di vittime che negli ultimi due anni fa a gara con quelle in Iraq o in Afghanistan. Non è una soddisfazione avere anticipato tutto ciò. Né ci voleva una grande saggezza - persino un osservatore casuale avrebbe potuto capire che la situazione in Messico stava precipitando in una spirale sfuggita a ogni controllo. Ora il governo messicano si trova a un crocevia: permetterà alla "narcocrazia" di continuare a esistere e ad agire come un governo parallelo che crea e impone le proprie leggi o sarà costretto a combattere una violenta guerra contro i cartelli che ha avuto già un alto costo di vite umane? Il Messico può e dovrebbe "dare la caccia" ai cartelli con tutte le forze disponibili e gli Stati Uniti dovrebbero offrire tutta l'assistenza possibile su entrambi i lati della frontiera. I killer puntano a intimidire polizia, procuratori e cittadini che li combattono. Finché non finirà la domanda di stupefacenti non si fermerà la carneficina. Tuttavia, più importante ancora, è che gli Stati Uniti siano finalmente onesti. Il "problema della droga messicano" non è tale: è un problema statunitense, sia per l'origine sia per le conseguenze. La popolazione degli Stati Uniti è circa il 5 percento di quella mondiale, eppure, secondo la maggior parte delle fonti, consuma il 25 per cento delle droghe illegali. Questo è un problema nostro, non del Messico, e finché da noi non si svolgerà un franco dibattito pubblico su come affrontare il problema del consumo delle droghe illegali, non possiamo puntare il dito contro i produttori. È una semplice regola dell'economia: finché ci sarà la domanda, ci sarà l'offerta. E il mercato siamo noi. Se, da una parte, uccidere o arrestare i principali boss dei cartelli è un obiettivo legittimo, dall'altra, dobbiamo riconoscere che, nel lungo periodo, ciò crea soltanto dei vuoti che in genere sono riempiti e con ulteriori bagni di sangue. Anche qui, gli enormi profitti che il nostro mercato interno genera li valgono. È il nostro denaro a finanziare gli assassini. È giusto che gli Stati Uniti protestino contro il contrabbando di droga in arrivo dal Messico, ma altrettanto è giusto che i messicani protestino contro il contrabbando di armi dagli Stati Uniti verso il Messico. La maggior parte delle armi usate per perpetrare queste atrocità provengono dal nostro paese. È la nostra fame di droga a creare questi mostri, ad arricchirli e a renderli potenti. E infine siamo sempre noi ad armarli. Le conseguenze sono evidenti nelle terribili notizie che arrivano ultimamente dal Messico e che si avvicinano a noi sempre più. Era inevitabile che alla fine restassero uccisi dei cittadini statunitensi. Inoltre, questa è una situazione destinata a peggiorare perché i cartelli messicani ora sono diventati delle organizzazioni integrate verticalmente, vale a dire che non solo controllano le rotte del contrabbando, ma che mirano anche al controllo dei mercati al dettaglio negli Stati Uniti, nelle principali città e anche in molte di quelle più piccole. È solo questione di tempo perché la lotta per il controllo delle città come succede a Tijuana o a Juarez si sposti a San Diego e a Chicago. La risposta deve prevedere molti strumenti, tra cui l' imposizione dell'applicazione della legge, lo scambio transnazionale di intelligence e un maggiore sforzo alla frontiera. Ciò detto, non possiamo smarrire il quadro di insieme, ossia, il fatto che il "problema della droga" non sta in Messico e che non sarà mai risolto solo imponendo l' applicazione della legge, perché riguarda innanzitutto la salute della società. Dobbiamo affrontare con urgenza il problema della nostra vorace fame di droghe e dobbiamo avere il coraggio e l'onestà di aprire su questo un dibattito che consideri tutte le possibilità, inclusa la legalizzazione. Deve essere chiaro che è la proibizione a creare il profitto. Il vero prodotto non è la droga stessa (attualmente è la marijuana e non l' eroina o la cocaina a costituire la maggior parte dell'attività dei cartelli) ma la capacità di trasportare la droga oltre la frontiera. Dobbiamo sottrarre al narcotraffico gli enormi profitti. Finché non lo faremo, non riusciremo a fermare la carneficina.
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