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20100316

crisi

Da Internazionale nr. 831

La ricetta dei Paesi Bassi per evitare i licenziamenti

Adam Cohen, The Wall Street Journal, Stati Uniti

Contro la disoccupazione il governo olandese integra il salario dei dipendenti a cui le aziende in crisi riducono l’orario di lavoro. Il sistema si sta rivelando efficace

Nell’ultimo anno la produzione dello stabilimento della Daf Trucks di Eindhoven si è dimezzata, ma grazie agli aiuti di stato questa fabbrica di autocarri ha conservato l’80 per cento dei dipendenti a tempo pieno. Theo Witkamp, addetto agli impianti computerizzati di taglio, ha un orario di lavoro ridotto, ma riceve l’85 per cento del suo salario normale. I Paesi Bassi hanno registrato i risultati migliori tra i paesi europei che usano i cosiddetti programmi di indennità di disoccupazione parziale per evitare i licenziamenti nelle aziende: oggi, infatti, il tasso di disoccupazione è al 3,7 per cento. Nell’ultimo anno il governo ha stanziato due miliardi di euro a sostegno dell’occupazione. I programmi di indennità sono usati nei Paesi Bassi in dai tempi dell’occupazione nazista, ma con molta prudenza. Nei periodi di espansione il governo evita di sovvenzionare il mercato del lavoro, promuovendo la flessibilità. Negli ultimi anni, inoltre, le autorità hanno scoraggiato il ricorso eccessivo ai sussidi di disoccupazione con controlli più frequenti e rigorosi, che nel 2008 hanno ridotto le domande a ventimila, un quinto di quelle presentate nel 2002. Con l’arrivo della crisi, invece, i sindacati e le imprese hanno raggiunto in breve tempo un accordo per il sostegno ai salari. Un esempio della collaborazione che caratterizza il “modello polder”, tipico sviluppo olandese, che secondo alcuni storici risale al Medioevo, quando le popolazioni delle città e le diverse classi sociali univano le forze per consolidare le dighe contro un’alluvione incombente. Le critiche ai programmi di lavoro breve non mancano. Rick Van der Ploeg, docente di economia dell’università di Oxford ed ex politico olandese, li descrive come una forma di “comunismo strisciante” e aggiunge che “si tratta di una pura e semplice ripartizione della povertà”. Qualche dubbio circola anche tra chi è favorevole alle misure. Wouter Bos, il ministro delle finanze, sostiene che “in questo modo per il mercato è più difficile comprendere quali aziende debbano sopravvivere e quali bisognerebbe lasciar fallire”. Ma se il programma permetterà ai lavoratori di restare al loro posto fino alla ripresa, continua Bos, allora il gioco vale la candela. “Si spendono più soldi all’inizio, ma poi se ne risparmiano in seguito, perché le persone non chiedono troppi sussidi di disoccupazione”.
Una rete di consulenti
Per partecipare al primo programma di lavoro breve, avviato nel novembre del 2008, le aziende hanno dovuto dimostrare che le loro entrate si erano ridotte del 30 per cento nell’arco di due mesi. Ai dipendenti di queste imprese lo stato ha versato la parte di salario persa in seguito alla riduzione dell’orario di lavoro. Hanno fatto richiesta più di duemila aziende, e dalle casse pubbliche sono arrivati circa 200 milioni di euro, pari a circa 2,4 milioni di ore di lavoro. Il governo, inoltre, ha istituito una rete di consulenti che aiutano le imprese a decidere se è necessario un programma di lavoro breve. Quando i licenziamenti sono inevitabili, i consulenti assistono i lavoratori nella ricerca di un nuovo impiego. Le sovvenzioni, limitate a un periodo di sei mesi, sono state erogate fino alla fine di aprile del 2009, quando è stato lanciato un secondo programma per il quale le imprese non dovevano dimostrare di aver subìto un calo consistente delle entrate. Secondo questo piano, che dispone di un fondo di un miliardo di euro, i datori di lavoro possono ridurre gli orari e i salari ino al 50 per cento, mentre lo stato si impegna a compensare il 70 per cento delle ore di lavoro perse. La seconda fase è risultata subito troppo dispendiosa. Così nell’estate del 2009, dopo che alcune aziende si erano avvalse del programma facendo pagare allo stato un conto salato, Piet Hein Donner, il ministro per gli affari sociali e l’occupazione, ha imposto limiti più rigidi. Ma intanto si vedono i primi segnali di ripresa. La Asml holding di Eindhoven, un’impresa che produce sistemi di fotolitografia per l’industria dei semiconduttori, ha usato il lavoro breve per 1.100 dipendenti fino a giugno, perché nella seconda metà del 2009 l’azienda ha aumentato gli ordinativi. “Ora abbiamo abbastanza lavoro per i nostri dipendenti”, ha detto il portavoce Jojanneke Strijbos.
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Sembrano proprio le misure che sono state prese dal Governo Berlusconi...

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