Donne senza uomini - di Shirin Neshat e Shoja Azari 2010
Giudizio sintetico: da vedere, ma non per tutti (4/5)
Giudizio vernacolare: lento, guasi fermo
Iran, tra il 1952 e il 1953. Lo Shah (l'equivalente di Re) Mohammad Reza Pahlavi è la più alta carica dello Stato, e gode della fedeltà dell'Esercito, ma il Primo Ministro regolarmente eletto è Mohammad Mossadeq, che ha nazionalizzato l'industria degli idrocarburi, inimicandosi ovviamente Inghilterra e Stati Uniti. Come è successo un po' in tutto il mondo, la CIA e la SIS (servizio segreto britannico) organizzano un colpo di stato appoggiando l'esercito iraniano che, come detto, era fedele allo Shah. Il piano, battezzato Operazione Ajax, fallì inizialmente, visto il sostegno popolare di cui godeva Mossadeq, ma poi l'esercito e i servizi segreti ebbero il sopravvento. Su questo sfondo, si intrecciano le storie personali di quattro donne, due agli antipodi tra di loro, Fakhri, una signora della Teheran bene sposata ad un generale, ma da sempre innamorata di un intellettuale che sta più all'estero che in Iran, e che decide di lasciare il marito proprio alla vigilia del golpe, mentre Zarin è una prostituta ormai anestetizzata mentalmente a causa del suo lavoro, che improvvisamente trova la forza di reagire al suo destino, e altre due amiche ma con atteggiamenti diametralmente opposti rispetto alla religione, al rapporto con gli uomini, alla politica: Munis, un'accesa sostenitrice di Mossadeq, vorrebbe unirsi ai manifestanti che ogni giorno lo sostengono con manifestazioni pubbliche, non vuole sposarsi sebbene abbia "già" 30 anni, e ascolta tutto il giorno la radio per tenersi al corrente di quello che accade, ma viene continuamente umiliata dal fratello Amir Khan, uomo (che sta per sposarsi) amato in silenzio da Faezeh, amica del cuore di Munis (nonché quarta protagonista), al contrario poco interessata alla politica ma rispettosissima della religione e di tutte le regole e tradizioni che la caratterizzano.
I destini di Fakhri, Zarin e Faezeh si incontreranno, a causa di traumi diversi ma che le accomuneranno, mentre Munis entrerà finalmente a far parte del movimento che sostiene il Primo Ministro.
E' un film che definire estremo è poco, questo Donne senza uomini, liberamente tratto dal libro omonimo della scrittrice iraniana Shahrnush Parsipur (che recita anche nel film, è la tenutaria del bordello dove lavora Zarin), più volte incarcerata e processata, da tempo esiliata e della quale tutti i suoi libri, eccetto uno, sono banditi dal suo paese, film che ha spaccato profondamente la critica e che ha vinto il Leone d'Argento lo scorso anno a Venezia. Realizzato dall'artista di arte visiva contemporanea Neshat, coadiuvata dal regista Shoja Azari, entrambi iraniani ma residenti negli USA da molti anni, è in effetti un lavoro che o si ama o si odia (chi vi scrive lo ha amato), per i motivi che vado a spiegarvi, spero semplicemente.
Fin dalla stupenda scena d'apertura, si capisce che si avrà a che fare con un film rarefatto, splendidamente fotografato, piuttosto lento, con spesso l'uso di voci fuori campo che integrano la storia. Gli eventi mischiano il reale con il surreale, con quest'ultimo che sovente spiazza lo spettatore, e l'intero film è permeato di metafore e simbolismi. La ricerca dell'inquadratura "ad effetto" è quasi ossessiva, il formalismo è dietro l'angolo (ed è questo che ha irritato più di un critico), ma la storia, pur, come detto, rarefatta, che si dipana lentissima, spesso onirica e puntualizzata di simboli e metafore, riscatta, a mio parere, questa ricerca estetica affannosa. Vi assicuro che se avete un minimo di conoscenza storica, un po' di elasticità mentale, una buona dose di fantasia e curiosità, dopo un iniziale difficoltà ad entrare nel "gioco", sarete affascinati dal dualismo (estetica e metafora) del film, e vi ritroverete, sulla strada del ritorno dal cinema, a sfidare voi stessi assegnando significati a questo o quel personaggio, a questa o all'altra situazione.
Colonna sonora anch'essa piena di fascino, sinuosa e avvolgente, a cura del grande Ryuchi Sakamoto, insieme a musiche e canzoni di Abbas Bakhtiari (presente anche come attore), con ottime prove recitative del cast, dove si distinguono Shabnam Toloui (Munis), che ha lavorato con Marzieh Meshkini, la moglie di Mohsen Makhmalbaf, e soprattutto una straordinaria Orsolya Tòth, ungherese (vista, di sfuggita, recentemente in Lourdes) che già nel 2005 aveva lavorato con i due registi di questo film, in un cortometraggio che, in un certo qual modo, anticipava questo lungometraggio; si intitolava infatti Zarin, e la Tòth interpretava una giovane prostituta iraniana alla ricerca di una vita migliore.
Quando il cinema è sogno, senza però dimenticare l'impegno. Un film non facile da vedere, ma che secondo me dà grandi soddisfazioni.
7 commenti:
sapevo che anche te l'avresti visto!;-)
cosa ne pensi Giulia? che sensazione ti ha lasciato?
Sono per lo più d'accordo con te!
Indubbiamente è un film interessantissimo...si vede che la regista viene dall'arte visiva.
Certe inquadrature sono talmente statiche da sembrare sequenze di foto...(bellissime foto,come la fantastica scena d'apertura!)
Dal punto di visto estetico l'ho trovato praticamente perfetto...
Personalmente poi ho fatto un po' fatica con tutti i continui rimandi e simbolismi, che certamente non sono immediati...
(tra l'altro una scena mi ha addirittura ricordato il fascino discreto della borghesia...vabbè giusto per dire...)
Penso che sia un film che si possa assorbire solo alcuni giorni dopo la visione.
E' un film che ti porti dietro per un bel po'di tempo!
Si infatti leilì è soprattutto fotografa. Io ad esempio mi sono convinto che il personaggio di Munis rappresentasse la Libertà, che il fratello tenta di sotterrare, ma che risorge sempre, mentre l'irruzione dell'esercito alla festa, con alla fine i soldati che mangiano e diversi invitati che solidarizzano con loro, rappresentasse il fatto che la Borghesia quando c'è una dittatura, e cosi pure una buona parte degli intellettuali, finiscono per scendere a patti col tiranno. Però ecco, uno si può fare il "viaggio" che più crede combaciare meglio.
comunque, mi fa piacere che ti sia piaciuto.
infatti mi riferivo proprio a quella scena quando ho parlato de "il fascino discreto della borghesia"...
e poi mi è piaciuta la figura di quest'uomo che apre la porta a queste donne "peccatrici" (la prostituta,la divorziata,la stuprata...) che potrebbe rappresentare il dio universale che accoglie tutti indipendentemente da tutto ...ben diverso da come l'uomo spesso lo raffigura o lo vuole interpretare...
questa è un'altra ottima interpretazione. tra l'altro, magari sbaglio, l'uomo non è lo stesso che accarezza la prostituta quando lei lo guarda e lo vede senza occhi e bocca? insomma, anche leilì e il suo aiutante si fumano roba buona sembrerebbe. magari gliela passa Lynch.
ahahahah...è probabile!
le torte mentali son tante!
cmq si si è lo stesso che accarezza la prostituta, ma lei all'inizio lo vede sfigurato...non lo "vede"...;-)
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