No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20100305

cuore matto


Crazy Heart - di Scott Cooper 2010

Giudizio sintetico: si può vedere (2,5/5)
Giudizio vernacolare: 'nzomma

Bad Blake è un cantante e chitarrista country di 57 anni, con quattro matrimoni alle spalle, un figlio praticamente mai conosciuto, tanta strada fatta in tour, milioni di sigarette fumate e litri di alcool ingurgitato. Vissuto e sfatto, con ancora un indiscutibile fascino, continua a girare col suo pick up e la sua chitarra per tirare su qualche soldo, suonando in locali classici del sud degli USA, davanti a poche decine di persone, quasi tutte di una certa età, dato che è stato famoso, in passato. Il suo manager gli chiede continuamente di scrivere qualche pezzo nuovo, ma lui si innervosisce subito: sa che è molto arrugginito. Anche Tommy Sweet, un giovane country-singer da lui "allevato", e che ancora gliene è riconoscente, che beve solo bevande energetiche e ha un grande successo commerciale, gli chiede di scrivergli qualche pezzo.
Durante uno dei suoi tour solitari, per i quali ogni sera si fa accompagnare da una band diversa, senza neppure provare, arriva per un paio di date in un bar di Santa Fé, e per primo conosce Wesley, che lo accompagnerà al piano. Ne apprezza lo stile, Wesley ringrazia e gli chiede un favore: può concedere un'intervista a una sua nipote, che sta tentando di lavorare come giornalista? Bad accetta, riluttante, come sempre. L'intervista con Jean, così si chiama la ragazza, diventa una cosa a più riprese, e tra i due nasce qualcosa.

Diciamo la verità: non è quel filmone che ci aspettavamo, questo Crazy Heart, strombazzato soprattutto per la performance di quella sorta di icona vivente che è Jeff Bridges. Forte di tre candidature agli Oscar, miglior attore protagonista (appunto, Jeff Bridges nei panni di Bad Blake), miglior attrice non protagonista (Maggie Gyllenhaal che interpreta Jean), miglior canzone [The Weary Kind (Theme from Crazy Heart), scritta da T Bone Burnett e Ryan Bingham], Crazy Heart, tratto dal romanzo omonimo di Thomas Cobb, è una storia abbastanza telefonata di redenzione, da più parti (giustamente) paragonata a quella di The Wrestler, ma senza quel pathos che ha fatto del film di Aronofsky una sorta di capolavoro. La si può vedere anche come un pregio, questa assenza di drammatizzazione estrema, volendo, ed è giusto notare che gli attori, Bridges per primo (cosa che tra l'altro caratterizza da sempre il suo stile), lavorano per sottrazione: è così che anche la prova della dolcissima bellezza acqua e sapone (e pure della porta accanto) della Gyllenhaal, risulta più che buona.
E' innegabile però che solo la semplicità, a volte non basta per fare un film che faccia storia. Ecco quindi che questo debutto di Cooper, diretto discretamente, di maniera, che lascia intravedere un buon gusto per le inquadrature panoramiche e suggestive sugli sconfinati spazi del sud statunitense, e aiutato da una ottima fotografia, pulita e quasi "afosa", si apprezza ma non fa gridare al miracolo. Mancano le cosiddette scene madri, manca come detto poco prima il pathos, manca quel qualcosa che ti prende alla gola, quando si vuol fare un film da una storia con elementi classici quali riscatto e redenzione.
Rimane come detto una grande prova attoriale soprattutto di Jeff "Drugo" Bridges (come capita spesso, da gustare la versione originale per lo strascicato accento del protagonista), che probabilmente vincerà l'Oscar anche per manifesta inferiorità degli altri candidati (ho come l'impressione che tutti quanti i candidati con prove davvero intense siano nella categoria "non protagonista", rileggendo le nomination), come pure del resto del cast, tutto con un basso profilo: citiamo anche il decano Robert Duvall (Wayne, l'amico di Bad) e pure Colin Farrel (Tommy Sweet), bravo anche a cantare (quasi quanto Bridges: ma che Jeff sapesse cantare lo sapevamo già). Bella, ovviamente, la colonna sonora, curata da T Bone Burnett e Stephen Bruton, e per l'intreccio musica/cinema sottolineo il cameo (ben fatto, mi è piaciuto) di Ryan Bingham (che come avrete letto prima ha messo lo zampino nella scrittura del pezzo candidato all'Oscar) insiema ai suoi The Dead Horses.
Una mezza delusione.

2 commenti:

ndruglio ha detto...

pensa che volevo fare il genio e citare the wrestler... evidentemente il paragone veniva da solo.
Io l'ho amato, visto 2 volte di seguito prima in italiano e poi in originale (c'ho una sega da fare)
mi spiace non ti sia granchè piaciuto.
pochi altri film mi hanno così gentilmente squarciato

jumbolo ha detto...

tenerone