No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20100915

da qualche parte


Somewhere - di Sofia Coppola 2010

Giudizio sintetico: da vedere (3,5/5)
Giudizio vernacolare: chi ha 'vaini la rimedia, però...

Johnny Marco è un attore hollywoodiano di successo. Non ha ovviamente problemi di soldi, gira sulla sua Ferrari nera, spesso senza meta, lo sveglia di solito la sua agente per ricordargli gli (eventuali) impegni della giornata. Vive stabilmente allo Chateau Marmont (leggetevi il paragrafo notable people and events nella scheda linkata), famosissimo e storico Hotel sul Sunset Boulevard di West Hollywood, dove passa il tempo alticcio, quindi bevendo, ingerendo pastiglie, ordina da mangiare al room service, così come ordina direttamente in camera spettacolini di lap-dance eseguitigli da una coppia di gemelle direttamente in stanza da letto, giocando alla Wii col suo (Migliore? Unico?) amico Sammy, che ogni tanto organizza, sempre nella stanza di Johnny, feste a sopresa. A Johnny per avere successo con le donne basta salutarle, e di solito dopo un paio di minuti o un paio di drink ci si ritrova a letto insieme. Non sempre poi, le cose vanno per il verso giusto, ma fa niente, lui è sempre Johnny Marco, ricco, famoso, e soprattutto, completamente al di fuori della realtà.

Johnny ha pure una ex moglie, e addirittura una figlia, Cleo. Cleo ha 11 anni, ed è ovviamente in affido alla madre. Johnny la vede ogni tanto, la porta a pattinare e le domanda come fa ad essere così brava, e lei risponde che è già qualche anno che pattina. Lui, nemmeno lo sapeva. Ma sta per vederla più spesso: la moglie, dopo qualche giorno, gli comunica che ha un impegno lontano, quindi Johnny dovrà occuparsi di Cleo fino al giorno in cui la ragazzina partirà per il campo estivo. Johnny è così costretto a modificare le sue abitudini, e, senza approfondire troppo, cosa della quale è evidentemente incapace, man mano che i giorni insieme a Cleo passano, quasi non accorgendosene si lega sempre più a lei. Fino al punto in cui Cleo parte per il campo estivo...

Sofia Coppola è figlia d'arte, si sa, e questo suo ultimo lavoro, vincendo il Leone d'Oro a Venezia qualche giorno fa, ha immediatamente scatenato polemiche e critiche, spesso infondate, magari anche da persone che non hanno visto il film. Il "percorso filmico" della Coppola è degno di nota, a mio giudizio (anche se, lo confesso, una regista che come primo lavoro fa un film decente da un libro che avevo amato molto mi fa senza dubbio essere parziale): il debutto Il giardino delle vergini suicide trattava con buon piglio e personalità un bel libro (il primo di Jeffrey Eugenides, che qua su fassbinder è molto rispettato), il secondo film fu quasi un capolavoro di sottrazione e profondità (Lost In Translation), il terzo fu purtroppo un mezzo passo falso, seppur rimanendo un tentativo diverso di affrontare una biopic storica (Marie Antoinette), dove Sofia contraddiceva in qualche modo quello che pareva essere il suo stile assodato.

Questo nuovo film torna sulle coordinate della sottrazione, e quindi su quello stile che (le) ha dato i migliori risultati. E' un film rarefatto, in un certo qual modo dimesso, mai urlato, abbastanza semplice nella struttura ma non semplice da guardare (e non solo per la fotografia, piuttosto spiazzante all'inizio, sgranata dalle lenti Zeiss, le stesse che il padre F.F. usò per Rusty il selvaggio), migliore ovviamente di Marie Antoinette ma probabilmente leggermente inferiore a Lost In Translation, un film volutamente irrisolto (alla lettera: vedi il non-finale), che si dilunga (appunto) volutamente troppo nella descrizione della non-vita del protagonista, e che forse si risolve un po' troppo frettolosamente (ma ancora una volta, c'è la possibilità che la cosa sia voluta, evidentemente) in, appunto, un finale "aperto" dove lo stesso protagonista prende coscienza del suo non-essere ("non mi sento nemmeno una persona" dice Johnny alla moglie: occhio alla risposta di lei, mi raccomando). Ed è davvero tutto qui il senso di Somewhere, un film su quanto vuota possa essere un'esistenza che da fuori può sembrare perfetta e senza problema alcuno, un film dove la Coppola riesce a descrivere un rapporto padre-figlia che improvvisamente tende al recupero, senza smancerie, luoghi comuni o trucchetti che potremmo aspettarci dal cinema americano (ma pure da qualcosa di casa nostra), altro fatto che le fa davvero onore.

E' la sobrietà il punto vincente di questo film, che però ne mette a segno pure altri. I due protagonisti risultano azzeccati. Per uno Stephen Dorff perfetto per incarnare uno spaesato Johnny Marco, attore che personalmente avevo apprezzato moltissimo nell'oscuro e selvaggio S.F.W. anni fa, e poi come scomparso in mezzo a molti film mediocri, e che quindi rivedo volentieri in un film importante, c'è una Elle Fanning (si, è la sorella di Dakota, e l'ha più volte interpretata "da giovane", ma anche lei ha già una filmografia di tutto rispetto nel curriculum) tenera, ingenua e acerba al punto giusto per interpretare Cleo; ma la recitazione di tutto il cast è segnatamente di basso profilo, e questo fa benissimo al film, che riesce "spontaneo", anche se racconta una storia che, a molti di noi, apparirà lontana anni luce.

Una parentesi sulla parentesi italiana della storia. Proprio questo low profile un po' di tutta la storia, stride ancor di più con la scena della consegna del Telegatto (ebbene si) al protagonista, con Simona Ventura, Nino Frassica e Valeria Marini in una scena kitsch e pacchiana, tipicamente da televisione italiana, e dove i tre, purtroppo per loro, incarnano figure imbarazzanti (per esempio: nella scena precedente c'è anche Giorgia Surina, si nota chiaramente che è sopra le righe, recita, male, ma recita; il trio citato prima è proprio spontaneo). Nel film c'è anche, in altro ruolo ma sempre nella parentesi italiana, Laura Chiatti, in un paio di scene dove purtroppo si è ridoppiata, ed è proprio per questo che palesa difficoltà al confronto dei doppiatori professionisti.

Colonna sonora variegata ma sfiziosa, del resto conosciamo la Coppola come amante della buona musica rock e non solo, dove la b-side degli Strokes I'll Try Anything Once corona perfettamente uno dei momenti più intensi del film.

Film da vedere, prova confortante per una regista che, come detto, ha deciso di percorrere una strada personale e degna di nota.

2 commenti:

giulia ha detto...

a me è tutto sommato piaciuto.
la cosa che non mi ha convinto è un po' la struttura del film, un po' troppo sulla falsa riga di "lost in translation"...
quindi mi sapeva di cosa già vista
(prima parte sulla descrizione del protagonista e poi la svolta con l'incontro femminile- li la scarlet, qui la bambina...)

jumbolo ha detto...

beh, forse avere la memoria corta in questi casi è un bene!
quindi la struttura è un po' il suo marchio di fabbrica diciamo.