Da Internazionale nr.828, a proposito dell'etnia di cui si "parlava" nel film Gran Torino.
L’odissea dei hmong laotiani
The Nation, Thailandia
Arruolati dagli Stati Uniti contro i comunisti durante la guerra del Vietnam, i hmong sono
perseguitati nel loro paese e pagano le conseguenze di una questione mai risolta
perseguitati nel loro paese e pagano le conseguenze di una questione mai risolta
A fine dicembre le tv tailandesi hanno riferito, citando fonti anonime, che i quattromila hmong rimpatriati con la forza in Laos in quei giorni erano solo immigrati clandestini in cerca di un modo per raggiungere gli Stati Uniti. La verità è che i hmong erano arrivati in Thailandia nella speranza di trovare asilo in un paese straniero. I hmong sono perseguitati dal governo di Vientiane per aver combattuto nella guerra segreta in Laos alla fine degli anni sessanta per conto degli Stati Uniti. A più di trent’anni dall’arrivo al potere dei comunisti in Laos, i hmong continuano a fuggire attraverso il confine con la Thailandia. Alcuni cercano soltanto una vita migliore, altri tentano di raggiungere le famiglie che si sono stabilite all’estero. Tra loro ci sarebbero anche parenti degli uomini che furono arruolati dagli Stati Uniti a partire dai primi anni sessanta e addestrati
dall’esercito tailandese contro il Laos comunista. Thailandia, Stati Uniti e governo laotiano non hanno ancora trovato una soluzione alla questione dei hmong disseminati in giro per il mondo, uno dei tristi retaggi della guerra fredda. Il problema non riguarda solo qualche gruppo tribale confinato su remote vette montane, come pensa la maggior parte dei tailandesi. E ridurre il problema a una semplice questione bilaterale con il Laos, come ha fatto il viceprimo ministro
tailandese Suthep Thaugsuban, non ha senso. I telegiornali tailandesi non hanno parlato della crescente preoccupazione delle Nazioni Unite, del governo di Washington e dell’Unione europea per il rimpatrio forzato dei hmong. Né hanno parlato del fatto che l’agenzia dell’Onu per i rifugiati ha concesso a 158 hmong, detenuti in un campo profughi a Nong Khai, in Thailandia, lo status
di “persone bisognose di protezione”; né di come le autorità tailandesi hanno ostacolato il trasferimento di queste persone in un altro paese. E non hanno detto nemmeno che l’esercito tailandese, durante le procedure di schedatura, ha identificato circa 500 persone che hanno legami di parentela con uomini che, addestrati dai militari tailandesi, combatterono nella guerra segreta contro i comunisti finanziata dalla Cia.
Quale soluzione?
Sembra che manchi la volontà politica di trovare una soluzione. I protagonisti della vicenda restano ostaggi di una mentalità da guerra fredda e continuano a tenere segrete le loro intenzioni. Nessuno vuole riconoscere che c’è ancora una manciata di guerriglieri hmong che si nasconde nella giungla per liberare il Laos dai comunisti. Anche se ufficialmente non danno peso alla questione, alcuni membri del governo di Vientiane sono convinti che questo esercito sia armato dai militari tailandesi con il sostegno dei hmong che vivono in esilio. Ma se davvero le parti in causa non hanno nulla da nascondere, dovrebbero risolvere la situazione una volta per tutte. Possono cominciare con il gestire il problema tutti insieme e accertare l’identità di quelli che discendono realmente dai guerriglieri hmong arruolati dalla Cia. Per il momento solo le autorità tailandesi stanno facendo una schedatura, sollevando tra la comunità internazionale più interrogativi che risposte. Una presenza delle Nazioni Unite darebbe maggiore credibilità all’operazione, perciò bisognerebbe coinvolgere rappresentanti dell’Onu e altre personalità internazionali, come il generale Vang Pao, il leader hmong in esilio che ha dichiarato di voler tornare nella sua terra d’origine. È buffo come l’esercito tailandese, che insiste nel classificare i hmong come semplici immigrati irregolari, abbia “dimenticato” di aver avuto un ruolo nel conflitto in Laos.
dall’esercito tailandese contro il Laos comunista. Thailandia, Stati Uniti e governo laotiano non hanno ancora trovato una soluzione alla questione dei hmong disseminati in giro per il mondo, uno dei tristi retaggi della guerra fredda. Il problema non riguarda solo qualche gruppo tribale confinato su remote vette montane, come pensa la maggior parte dei tailandesi. E ridurre il problema a una semplice questione bilaterale con il Laos, come ha fatto il viceprimo ministro
tailandese Suthep Thaugsuban, non ha senso. I telegiornali tailandesi non hanno parlato della crescente preoccupazione delle Nazioni Unite, del governo di Washington e dell’Unione europea per il rimpatrio forzato dei hmong. Né hanno parlato del fatto che l’agenzia dell’Onu per i rifugiati ha concesso a 158 hmong, detenuti in un campo profughi a Nong Khai, in Thailandia, lo status
di “persone bisognose di protezione”; né di come le autorità tailandesi hanno ostacolato il trasferimento di queste persone in un altro paese. E non hanno detto nemmeno che l’esercito tailandese, durante le procedure di schedatura, ha identificato circa 500 persone che hanno legami di parentela con uomini che, addestrati dai militari tailandesi, combatterono nella guerra segreta contro i comunisti finanziata dalla Cia.
Quale soluzione?
Sembra che manchi la volontà politica di trovare una soluzione. I protagonisti della vicenda restano ostaggi di una mentalità da guerra fredda e continuano a tenere segrete le loro intenzioni. Nessuno vuole riconoscere che c’è ancora una manciata di guerriglieri hmong che si nasconde nella giungla per liberare il Laos dai comunisti. Anche se ufficialmente non danno peso alla questione, alcuni membri del governo di Vientiane sono convinti che questo esercito sia armato dai militari tailandesi con il sostegno dei hmong che vivono in esilio. Ma se davvero le parti in causa non hanno nulla da nascondere, dovrebbero risolvere la situazione una volta per tutte. Possono cominciare con il gestire il problema tutti insieme e accertare l’identità di quelli che discendono realmente dai guerriglieri hmong arruolati dalla Cia. Per il momento solo le autorità tailandesi stanno facendo una schedatura, sollevando tra la comunità internazionale più interrogativi che risposte. Una presenza delle Nazioni Unite darebbe maggiore credibilità all’operazione, perciò bisognerebbe coinvolgere rappresentanti dell’Onu e altre personalità internazionali, come il generale Vang Pao, il leader hmong in esilio che ha dichiarato di voler tornare nella sua terra d’origine. È buffo come l’esercito tailandese, che insiste nel classificare i hmong come semplici immigrati irregolari, abbia “dimenticato” di aver avuto un ruolo nel conflitto in Laos.
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