Gran Torino - di Clint Eastwood 2009
Giudizio sintetico: da vedere
Walt Kowalski è un uomo duro. Ha fatto la guerra in Corea, ha lavorato per mezzo secolo alla Ford. Ha due figli grandi che, in pratica, conosce appena e tratta di merda, non sopporta i suoi nipoti. Neppure il giorno del funerale di Dorothy, l'amata moglie, riesce a lasciarsi andare, al punto che riesce a maltrattare tutti i nipoti, i figli, i vicini e perfino il prete che ha celebrato il funerale. Per uno come lui, che ha odiato i nemici coreani, poi, vedere il suo quartiere, una periferia di Detroit, riempirsi di asiatici, non fa altro che aumentare la sua scorbuticità e il suo razzismo profondo. Non lo sfiora neppure il pensiero che tutti quelli che ha intorno non sono propriamente coreani, bensì Hmong, una popolazione che una volta era sparsa tra Vietnam, Laos, Myanmar e Thailandia, e che addirittura molti di loro furono alleati degli USA, al punto che proprio per quello esistono così grandi comunità. Naturalmente, non solo gli Hmong sono oggetto del razzismo di Walt.
I vicini di Walt, ovviamente, non gli piacciono per niente. Qualche sera dopo il funerale della moglie, uno di loro tenta di rubare l'unica cosa alla quale Walt tiene davvero, morta la moglie: la sua Ford Gran Torino del 1972: lui riesce a sventare il furto ma non ad acchiappare il ladro. Ancora dopo qualche giorno, scoppia una rissa nel giardino davanti alla casa dei vicini: la gang capitanata dal cugino di Thao, il ragazzo giovane che proprio il pomeriggio del funerale aveva chiesto a Walt dei cavi per la batteria dell'auto (ricevendo la porta in faccia), sta tentando di portare Thao con loro. La rissa sconfina nel prato di fronte alla casa di Walt, che solo per questo motivo esce armato di fucile e, a muso duro, fa scappare la gang.
Il giorno seguente, Walt scopre di essere diventato un eroe per l'intera comunità Hmong: chiunque gli porta per tutto il tempo cibo e fiori. La famiglia dei vicini, fa confessare Thao davanti a Walt: è stato lui a tentare di rubargli la Gran Torino. Per espiare, sarà a sua disposizione per una settimana. La sorella, Sue, fa da "interprete". Ma anche lei sarà "salvata" poco dopo, ancora una volta da Walt: a spasso col suo spasimante bianco, viene bloccata da tre ragazzi di colore che iniziano a molestarla, sbarazzandosi facilmente di Trey (l'amichetto di Sue). Walt passa di lì, e con la sua solita durezza (e le armi che si porta sempre dietro, seppur senza farne uso), impaurisce i tre e porta a casa sana e salva Sue. Insomma, Walt diventa il miglior amico dei Lor, i vicini. E si apre, così come non riesce a fare con i suoi figli e le loro rispettive famiglie.
Ma la gang asiatica non molla facilmente la presa...
Pare che questo sarà l'ultimo film da attore per Clint. Che in questo Gran Torino si presenta così com'è adesso: un 79enne, un vecchio. Un vecchio che però ha le idee chiare su come fare cinema, e che ha molte cose da dire. Un vecchio che fa cinema in maniera al tempo stesso splendida e semplice. Nello specifico del film e del ruolo che interpreta, un vecchio pieno di pregiudizi, di amarezza, di astio. Che si trova ad affrontare i problemi delle periferie statunitensi di oggi, soprattutto la violenza. Ma che, grazie all'amicizia con l'iniziale "nemico", cambia il suo atteggiamento: un cambiamento che capiremo solo nello splendido finale, una ciliegina spettacolare su una torta altrettanto succulenta.
Ogni volta che penso a Eastwood, mi vengono in mente due cose. La prima è la battuta di Sergio Leone su di lui, quando gli chiedevano perchè gli piacesse così tanto come attore: "Mi piace Clint Eastwood perché è un attore che ha solo due espressioni: una con il cappello e una senza il cappello". A parte il fatto che probabilmente riesce sempre a ritagliarsi delle parti che gli calzano a pennello, forse aveva ragione Leone: ma, a livello di regia, se l'allievo non ha superato il maestro, poco ci manca.
La seconda è il fatto che Eastwood sia iscritto nelle liste elettorali repubblicane. Il discorso sarebbe troppo lungo, semplifichiamolo: concettualmente, Clint è forse più vicino ai repubblicani che ai democratici, ma di sicuro se a centro-destra fossero tutti come lui, vivremo in un mondo migliore.
Detto questo, Gran Torino è un film bellissimo. E' grande cinema. E' duro e delicato al tempo stesso, commovente e divertentissimo. La scena dove Walt porta Thao dal barbiere Martin per renderlo presentabile ma soprattutto, per insegnargli a parlare come un vero uomo, è da antologia. Irresistibile. Ma il film è tutto costellato da grandi scene (fino alla fine: gustatevi per intero quella sui titoli di coda, seppur con la camera fissa, indimenticabile, probabilmente anche per il bellissimo pezzo che la accompagna, Gran Torino, scritta dallo stesso Clint, dal figlio Kyle che è solito curare le colonne sonore, da Michael Stevens e da Jamie Cullum, che la canta insieme a Don Runner), e, a parte il protagonista, da personaggi belli anche se appena tratteggiati. C'è odio, amore e incomprensione. Pregiudizio e grandi amicizie.
Tecnicamente, una bella fotografia, e la cinepresa sempre piazzata nel punto giusto, maneggiata con delicatezza, mai con frenesia. Ma questo è lo stile Eastwood.
La musica, sempre ben dosata (e curata come capita sempre più spesso nei film di Clint dal figlio Kyle, come detto poco fa: curiosità, in questo film recita anche un altro figlio, Scott - è Trey, l'amichetto di Sue -) e molto azzeccata. Bravi gli attori, molto bravi i due protagonisti Bee Vang (Thao) e Ahney Her (Sue), così come convincente risulta anche Christopher Carley (Padre Janovich).
Come dicevo prima, forse questo sarà l'ultimo film di Eastwood da attore, pare per sua scelta. Speriamo proprio che non sia l'ultimo da regista. Ne abbiamo ancora bisogno.
3 commenti:
Un buon film, visto un mesetto fa. Con un gran finale.
yep!
Finalmente ho visto questo film. Concordo come sempre su tutto quello che scrivi.
Un appunto però che mi permetto di fare (a Clint, non a te) è che secondo me dovrebbe farsi aiutare un po' nella sceneggiatura che, come in altri film di Eastwood, finisce un po' per accarezzare luoghi comuni e personaggi stereotipati.
Certo: li sfiora solamente e alla fine non cade nel banale. Però certe battute o certi personaggi o certi passaggi di sceneggiatura mi risultano un po' troppo "telefonati".
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