No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20100129

travestitismo seicentesco


Stage Beauty – di Richard Eyre 2005


Giudizi sintetico: si può vedere (2,5/5)
Giudizio vernacolare: bellino, ma c'è un branco di manfruiti


Londra, 1660. Il teatro è la passione di ricchi e poveri; secondo le leggi vigenti, le donne non possono recitare in luogo pubblico. Le parti femminili sono così affidate ad uomini, spesso appositamente "allevati" a recitare esclusivamente parti femminili.

Edward Kynaston è il più famoso di questi attori, e il suo ruolo lo porta ad avere privilegi, stima e corteggiatori sia tra gli uomini che tra le donne. La sua Desdemona è applaudita ogni sera, al punto da dover chiudere la rappresentazione anzitempo, dagli applausi che si sprecano alla di lei morte. Maria, la sua fedele (e segretamente innamorata) assistente, culla il sogno di recitare, e in effetti lo fa, in una specie di teatro clandestino; ogni rappresentazione di Kynaston è per lei fonte di insegnamento. Anche il re Carlo II è appassionato di teatro, e proprio durante un ricevimento a corte, al quale sono presenti sia Kynaston che Maria, si convince, su pressione della sua amante Nell, a sovvertire le regole fino ad allora vigenti: non solo le donne, di lì in avanti, potranno recitare in pubblico, ma sarà vietato agli uomini recitare parti da donna. La carriera di Kynaston finisce, quella di Maria spicca il volo.


Ispirato alla commedia di Jeffrey Hatcher Complete Female Stage Beauty, il film di Eyre (già regista del delicato Iris sulla vita di Iris Murdoch) risulta un buon lavoro, diretto canonicamente, ma aiutato da una fotografia calda, scenografie molto belle che ricostruiscono la Londra dell’epoca, e da ottime prove recitative dell’intero cast, sinceramente sontuoso; citando i due protagonisti, lo spassoso Carlo II di Rupert Everett, o il viscido Duca di Buckingam di Ben Chaplin, farei un torto a qualcun altro. Ma non c’è solo questo in Stage Beauty; c’è anche, e soprattutto, una sorta di grande metafora, non tanto dell’omosessualità, quanto del transgenderismo, unita a una bella verve comico-grottesca senza eccessi di volgarità, nonostante se ne sia continuamente sull’orlo. Un film attuale, nonostante l’ambientazione, divertente, e che scatena riflessioni interessanti, che, anche se fossero provocate involontariamente, gli vanno ugualmente riconosciute. Due le scene madri (e qui un altro pregio del film, la recitazione nella recitazione), tutte nel finale, quando i due protagonisti provano, e quando vanno finalmente in scena insieme. Meno convincenti le scene "intime", sempre tra i due.

Godibile.

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