La terra – di Sergio Rubini (2006)
Giudizio sintetico: da vedere (3,5/5)
Giudizio vernacolare: occome parlano vesti vi?
Luigi è un professore di Filosofia, insegna a Milano ma è originario di Mesagne, in provincia di Brindisi, paese lasciato ancora giovane dopo un violento litigio col padre manesco e donnaiolo. Persona pacata ed educata, Luigi torna al paese per firmare insieme ai due fratelli Mario e Michele, e al fratellastro Aldo, l’atto di cessione della vecchia masseria di famiglia, e invece si ritrova dapprima a tentare di convincere Aldo, che nella masseria ci vive e ci lavora, e non ne vuole sapere, a firmare e a vendere, dopodichè, poco a poco, a capire le dinamiche esistenti tra i fratelli, quasi a conoscerli per la prima volta, infine rimane invischiato nei loro stessi problemi, tentando, con uno scatto di orgoglio da fratello maggiore, di risolverli tutti prima di ripartire, a costo di perdere una fetta importante della propria vita.
Rubini è bravo. Davvero bravo. E, con questo film, lo dimostra definitivamente, forse anche a se stesso, uscendo finalmente a testa alta da una storia ambientata nella sua terra (appunto), cosa che non gli era riuscita completamente in passato (“Tutto l’amore che c’è”, “L’anima gemella”, “L’amore ritorna”). Tra l’altro, è bravo nei tre ruoli che ha in questo film, co-sceneggiatore, regista e attore.
La storia è complessa, e assume continuamente toni differenti (commedia divertente, grottesca, dramma familiare, giallo, critica sociale e politica), ma il tutto risulta funzionale e scorrevole, fluido e coerente. La macchina da presa è ben guidata, le soluzioni di inquadratura varie e molto spesso indovinate, mai noiose o prevedibili (Molto bello e suggestivo l’incipit, col flashback che spiega ciò che capiremo più avanti, con l’azione che si svela poco alla volta, riprese che paiono psichedeliche, alternate ai titoli di testa; subito dopo il campo lungo in corsa dal finestrino del treno, non una novità ma molto ben fatto. Belle molte inquadrature degli interni della casa di famiglia).
Istrionico, divertente e quasi impressionante il suo ruolo nella parte di Tonino, il boss locale, unto, smunto e mal vestito. Il resto del cast, come sempre con Bentivoglio a farla da padrone (non finirò mai di cantare le lodi di questo attore immenso, e continuamente mi dispiaccio del fatto che non abbia mai o quasi mai varcato i confini nazionali, per lui già da tempo stretti), è ottimo e ben guidato. Per essere un film perfetto, forse, manca una colonna sonora all’altezza, le musiche di Donaggio sono un po’ troppo usuali (infatti, quando si riconoscono le note iniziali di Ci sono molti modi degli Afterhours si rimane come folgorati, anche se per pochi istanti), ma in definitiva ci troviamo di fronte ad un film mai pesante, che si lascia vedere molto bene e che, dopo, ti lascia qualcosa. Nel panorama italiano, davvero una gran cosa.
Nessun commento:
Posta un commento