Zozo - di Josef Fares (2005)
Giudizio sintetico: si può perdere (2,5/5)
Giudizio vernacolare: no tutte le ciambelle...com'era?
Beirut, Libano, anni '80. La guerra con Israele, iniziata nel 1982, va e viene. Zozo è un bambino di undici anni, secondogenito di una famiglia cristiana, che proprio a causa della guerra che infuria, decide di espatriare con destinazione Svezia, dove abitano già da tempo i genitori del padre di Zozo. La mattina in cui la famiglia sta per recarsi all'aeroporto, una bomba si abbatte sul loro appartamento, i genitori muoiono, e mentre lui ed il fratello cercano di arrivare all'aeroporto, anche il fratello grande muore. Zozo trova conforto in un pulcino e una bambina che incontra per caso, Rita, ma dopo alcune peripezie, riesce ad arrivare in Svezia dai nonni. E lì, comincia una nuova vita.
Parzialmente autobiografico (Anche lui è arrivato in Svezia alla tenera età di circa 11 anni dal Libano), questo terzo lungometraggio di uno dei miei registi favoriti, il libano-svedese Fares, che arriva dopo gli imperdibili Jalla! Jalla! e Kops. Qui si cambia decisamente registro, e, visto questo Zozo dopo aver guardato pure l'ultimo (2010) Farsan, c'è da dire che la storia è delicata, emozionante, curiosa, ingenua e dolce, ma manca naturalmente di quell'umorismo a tratti irresistibile di cui sono carichi i suoi altri lavori, e questo spiazza un po'.
Emozionante la prima parte, quella in Libano, vagamente inconcludente la seconda, in Svezia, anche se il personaggio del nonno è di quelli che si dimenticano con difficoltà, e si intravede una contenuta critica al velato razzismo tra bambini. Alla fine, un po' troppo onirico.
Bene il cast, dentro al quale spicca decisamente Carmen Lebbos nei panni della madre di Zozo.
Il "si può perdere" è motivato dal fatto che è pure di difficile reperibilità (mai uscito in Italia): il non vedere Zozo non vi preclude il fatto di poter apprezzare il resto del lavoro di Fares; ma se vi capita, non guasta, e scorre bene.
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