No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20061028

peli perversi e significativi


Fur – Un ritratto immaginario di Diane Arbus – di Steven Shainberg 2006

Diane Nemerov nacque nel 1923 a New York, da una famiglia di ricchi pellicciai ebrei di origine russa. Un fratello poeta, si innamorò di Allan Arbus a 14 anni, e appena ne ebbe 18 lo sposò contrariamente al volere dei genitori. Allan era fotografo, iniziò come fotografo dell’esercito statunitense, poi si affermò come fotografo pubblicitario e di moda; Diane gli fece da assistente da sempre, pur essendo da lui incoraggiata continuamente ad usare quella macchina fotografica che lui gli regalò agli inizi. Ebbero due figlie, e si separarono nel 1959. In seguito, Diane si afferma come fotografa all’avanguardia e con uno strano ma intenso gusto estetico per i “diversi”: nani, travestiti, giganti, prostitute, persone deformi o comunque con gravi difetti fisici. Morì suicidandosi con barbiturici e tagliandosi le vene nel 1971; assurse a grande notorietà postuma in seguito.

Un soggetto così basta e avanza per un film; invece, l’interessante Shainberg, che qualche anno fa solleticò gli spettatori attenti e perversi con il pruriginoso ma non superficiale Secretary, descrivendo rapporti sado-masochisti con una sorprendente leggiadria e ricavandone un film intelligente, ha deciso di appoggiarsi e di ispirarsi liberamente alla biografia della Arbus scritta da Patricia Bosworths, dichiarando fin dall’inizio, appunto, che questa pellicola è un “ritratto immaginario”. Il risultato è positivo, il film esce dagli schemi e risulta accattivante, e gli si perdona, dopo una prima parte necessariamente lenta ma descrittiva e ben fatta, durante la quale vediamo la Arbus, donna in anticipo sui tempi e vogliosa di esperienze e sensazioni vibranti, che cova le sue pulsioni ma le reprime, vediamo insomma una battaglia interna alla protagonista, una seconda parte leggermente forzata e piuttosto scontata, quando, in pratica, la storia tra Diane e Lionel, il fabbricante di parrucche malato di ipertricosi, ex fenomeno da circo, diventa una storia come tutte le altre, e addirittura ci accorgiamo che la ricrescita dei peli sul corpo di Lionel risulta non rispondente alle sue dichiarazioni dell’inizio.

Shainberg dirige con sapienza e un coraggio che lo rende spavaldo, comandando la macchina da presa nei modi più disparati, riuscendo a disegnare in maniera più che efficace lo squassante conflitto interno di Diane, e il suo cammino lento ma inesorabile verso la liberazione e l’accettazione di se stessa e degli altri; alterna i posizionamenti di macchina, stringe sui particolari, usa i primi piani in maniera grottesca. Crea due ambienti completamente opposti che si sfiorano, formalissimo e lineare l’appartamento degli Arbus, infinito, sorprendente, onirico come un paese dei balocchi, misterioso ma pieno di fascino quanto è freddo l’altro, quello di Lionel. Si avvale di una fotografia brillante, che dipinge bene il periodo, ma soprattutto di una, ancora una volta, straordinaria e meravigliosa Nicole Kidman, perfetta nella parte. “Mi piace. Mi fa paura”, dice la Kidman/Arbus al marito che, rendendosi conto che la donna vuole e cerca qualcosa di differente, la prende violentemente da dietro, evidentemente per la prima volta.

Un film, come detto, non perfetto, ma che piacerà a chi detesta i film simmetrici e usuali, a chi cerca qualcosa in più. Un film sulla diversità e su come guardare le diversità, anche le nostre, di persone apparentemente “normali”, ma magari carichi di frustrazioni e desideri repressi. Un regista che dimostra di cercare sempre soggetti complessi (pur pescando nel classico, non per niente cita La bella e la bestia, Alice nel paese delle meraviglie, ma anche Elephant Man e Freaks) ma che hanno qualcosa da comunicare. Un regista che ci fa davvero ben sperare per il futuro. Siamo in attesa del suo capolavoro, i tempi sembrano ormai maturi.

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