Glasvegas + Heike Has The Giggles, Bronson, Madonna dell'Albero (RA), 10 maggio 2009
Una "scampagnata" domenicale, rinunciando ad una bella giornata di sole, e quindi di mare, roba ultimamente rara, per vedere all'opera dal vivo questa band di Glasgow, che tanto mi ha impressionato con l'esordio omonimo, con quella sua commistione di noise, rock melodico, stile da crooner e una voce che sembra quella di Joey Ramone. Mi perdo lo svincolo giusto della tangenziale ravennate, e mi faccio, insieme alla mia compagna di avventura, un po' di coda del rientro dall'Adriatico (arrivo fino a Cervia, così, per perdere tempo). Fortunatamente, per evitare il rientro dal Tirreno, avevamo due ore abbondanti d'anticipo. Alla fine, ecco il Bronson, del quale avevamo sentito tanto parlare: un circolo ENDAS, uno stanzone sotto la sede del (defunto?) Partito Repubblicano Italiano. Sicuramente una vecchia balera. Un posto decisamente brutto, e di questi tempi terribilmente caldo, anche se la bariste risultano davvero carine.
Aspettiamo un bel po', e verso le 21,00 abbondanti salgono (si fa per dire, visto quanto è basso il palco) sul palco gli italianissimi Heike Has The Giggles, giovanissimi ma già con una quantità di esperienze live alle spalle, e si vede. Il genere è un elettro-indie-rock che guarda ai White Stripes, ai Ting Tings, ai Franz Ferdinand e agli Strokes, grossolanamente e per farvi qualche esempio, con un gusto personale abbastanza sviluppato, una buona (ma migliorabile) presenza scenica, ottima tecnica, una voce femminile (quella di Emanuela, anche chitarrista, brava anche con lo strumento) sorprendentemente sicura nonostante l'età. Pezzi loro per oltre 30 minuti, zero pause, batterista (Guido, preciso) e bassista (Matteo, bravo e divertente) che ci danno dentro come forsennati. Fresca e quasi irriconoscibile la cover di Crazy In Love di Beyoncé, particolarmente ben riuscita. Applausi, e spero ne risentiremo parlare.
Si fa tardi, oltre le 23,00. E finalmente arrivano i ragazzi di Glasgow. Fumo da ghiaccio secco sul minuscolo palco e luci bassissime. Parte Geraldine, ed è davvero una magia. James porta occhiali da sole, e non se li toglierà fino alla fine. Nonostante questo, risulterà simpatico. Come un po' tutti hanno notato, somiglia, o fa in modo di somigliare, a Joe Strummer. La mia amica, che è nelle prime file, a fine concerto mi dirà: "non somiglia a Strummer, E' Strummer!". A proposito di somiglianze, le braccia corte e i movimenti, sempre di James, ricordano pure Billie Joe Armstrong dei Green Day. Dette queste amenità, il cugino (di James) Rab si dà un gran da fare sia con la chitarra, sia con qualcosa che somiglia a una tastiera (o forse un campionatore, che fa partire un tappeto di tastiere pre-registrate), sia muovendosi da una parte all'altra del palco, mentre il bassista Paul è in trance, più che statico; la batterista Caroline suona in piedi, con un drum kit essenziale: timpano, rullante e piatto.
Dal vivo, il lavoro delle chitarre, che sopperisce alle tastiere più consistenti nelle versioni in studio dei pezzi, è molto più vicino a quello dei loro concittadini Mogwai, creando quella specie di fuzz di fondo, molto suggestivo. Il basso arrotonda e irrobustisce un drumming essenziale e tutto sommato potente. La voce di James, che deve vedersela con parti vocali complesse, approfitta del noise creato dagli strumenti e si aiuta spesso con il reverbero, ma nel complesso se la cava più che bene. Le melodie malinconiche e pure un po' retrò dei loro pezzi, infine, creano insieme a tutto quello che vi ho descritto prima, un'atmosfera molto originale.
Polmont On My Mind, Go Square Go, Fuck You It's Over, S.A.D. Light, Please Come Back Home, Lonesome Swan, le (per me) bellissime Flowers And Football Tops e It's My Own Cheating Heart That Makes Me Cry, in pratica tutto il repertorio Glasvegas viene sviscerato in un'ora scarsa, bis compreso. Un pubblico stimato tra le 3 e le 400 presenze, diverse lì più per la curiosità, magari conoscendo solo il singolo, alla fine, grazie ai più fanatici, si rivela partecipe, e canta le belle melodie degli scozzesi a squarciagola, intenerendo James e i suoi, tanto che il leader, dopo essersi palesato prima del concerto al banchetto del merchandising, ringrazia più volte dal palco, si lancia in un ragionamento complesso durante il quale assicura che la pizza è più buona qui che in Scozia e che le donne italiane sono davvero più belle di Caroline, anche se poi le manda dei baci quasi scusandosi, si porta la mano al cuore continuamente. L'apoteosi all'ultimo pezzo, il tormentone Daddy's Gone, dove al secondo ritornello James si allontana dal microfono e fa tutto il pubblico, uouoooo compresi.
A mezzanotte e cinque è tutto finito. I Glasvegas ci hanno detto che dal vivo valgono quanto su disco. E non è poco. Se riusciranno a continuare a scrivere con questa ispirazione, ne sentiremo parlare per un bel po'. Intanto, sono sicuro che, almeno in Scozia, già qualche tifoseria ha adottato quantomeno il ritornello di Daddy's Gone per qualche coro. Le emozioni che riescono a generare le canzoni dei Glasvegas non sono circoscrivibili.
Foto tratta da http://liveon35mm.wordpress.com/
Nessun commento:
Posta un commento