State Of Play - di Kevin Macdonald 2009
Giudizio sintetico: si può vedere
Cal McAffrey è un esperto reporter del Washington Globe: rude, tenebroso, affascinante, ordinato nel suo disordine totale, buon bevitore (origini irlandesi), generoso, amico di tutti nonostante il carattere non proprio malleabile. Diffidente verso il "nuovo giornalismo", quello dei blog, nonostante la sua iniziale ritrosia verso la giovane collega Della Frye, titolare, appunto, del blog del suo stesso giornale, si ritrova a lavorarci fianco a fianco. Mentre Cal sta lavorando su un omicidio e un ferimento grave, storia apparentemente incongruente, per l'estrazione diversa dei due ragazzi ai quali evidentemente ha sparato un professionista, ecco che muore una giovane e bella collaboratrice dell'amico e compagno di scuola, il membro del congresso Stephen Collins; Collins presiede un comitato che sta indagando su una società che fa affari sia negli USA che all'estero nel campo delle comunicazioni, vincendo spesso appalti pubblici. Le udienze vanno in diretta televisiva, e quando l'onorevole apprende la notizia, tutti notano che è visibilmente scioccato. Partono le illazioni, e Cal, legato a doppio filo a Collins e alla di lui moglie Anne, viene suo malgrado coinvolto.
Trasposizione cinematografica della mini-serie tv inglese omonima, creata da Paul Abbott, il film è diretto da Kevin Macdonald, che abbiamo apprezzato per L'ultimo re di Scozia, e si rivela un lavoro molto classico nel senso migliore del termine: intreccio complesso ma comprensibile, tensione alta senza cali, personaggi interessanti (anche se potevano essere sviluppati meglio, e questo è uno dei pochi difetti), ottimo senso etico e corretta denuncia politico-sociale, tema sempreverde (la stampa e la politica, bellezza) ma aggiornato ai tempi del web, tecnica all'altezza, recitazione buona.
Fotografia che vira spesso sui toni scuri, per assecondare il tono da thriller, ottimi primi piani, campi lunghi e aerei che fanno respirare, addirittura camera a mano in diverse scene di interno, per far salire la tensione. Buon ritmo, riferimenti classici (Tutti gli uomini del Presidente), il film ha avuto una storia travagliata: i personaggi principali dovevano essere Brad Pitt (McAffrey) e Edward Norton (Collins), la regia è stata offerta praticamente a chiunque (De Palma, Linklater, Lee, Jarmusch, eccetera). Nonostante tutto, il film è davvero godibile.
Come detto, forse una pecca è quella dei molti personaggi di contorno a quello principale (McAffrey), che non sono ben approfonditi, colpa forse della trama troppo intrecciata, o del numero, appunto, di personaggi "secondari" e non: salta agli occhi ad esempio, che il profilo psicologico dei Collins è tagliato con l'accetta. E' pure probabile che il passaggio da una mini-serie di sei ore complessive, alle due pur abbondanti del film, ha costretto a tagli che indeboliscono giocoforza qualcosa: sono rimasti troppi personaggi, e non si ha il tempo di delinearli come si deve.
Buona la prova di Crowe (McAffrey), controllata (acconciatura inguardabile però), Affleck (Collins) non pervenuto, Wright (ex) Penn (Anne Collins) a filo di gas, bravina e caruccia Rachel McAdams (Della Frye), sempre grande anche con minutaggio ridotto Helen Mirren (Cameron Lynne, la direttrice del giornale), molto bravo Jason Bateman nei panni di un P.R. faccendiere (Dominic Foy).
Spoiler finale.
Un plauso agli sceneggiatori: finalmente un buon film dove i due caratteri principali non finiscono obbligatoriamente a letto insieme.
2 commenti:
nella foto in locandina crowe è uguale identico ad eddie vedder
ma come!non lo sai?è lui!!
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