Il discorso del re - di Tom Hooper (2011)
Giudizio sintetico: si può vedere (3/5)
Giudizio vernacolare: ti barbettava steccolo lulì
Albert Frederick Arthur George Windsor (padre della attuale sovrana d'Inghilterra Elisabetta II), detto Bertie, nato il 14 dicembre del 1895 dall'allora duca di York e dalla principessa Maria di Teck, era il secondogenito di quello che, nel 1910, divenne il re Giorgio V d'Inghilterra. Soffrì, oltre che di problemi di stomaco e di "gambe a X", di una forte balbuzie, cosa che, come si può intuire, gli creava non pochi problemi nelle volte che veniva invitato a parlare in pubblico. Forse per questo, era molto schivo, timido, e molti storici pensano addirittura soffrisse di una qualche malattia mentale.
La storia non ufficiale vuole che l'amata moglie, Elizabeth Bowes-Lyon, si sia preoccupata sempre della sua balbuzie, finché non si imbatté quasi per caso in una sorta di logopedista (che si scoprirà senza laurea) di origine australiana, che rispondeva al nome di Lionel Logue. Logue era noto per i suoi metodi poco ortodossi, ma estremamente efficaci. Esercizi fisici, oltre che vocali, estrema confidenza e lavoro psicologico sui pazienti. Bertie ci mise un po' per affidarsi completamente a Logue, e il suo impegno inizialmente fu saltuario, così come il rapporto, che si interruppe anche per un periodo, in seguito ad un eccesso di confidenza da parte di Logue, nel periodo che intercorse tra la morte del padre di Bertie, il re Giorgio V, e il breve regno del fratello maggiore, il re Edoardo VIII, da sempre intenso viveur. Nonostante Bertie aspirasse ad una vita relativamente tranquilla, con la moglie e le due figlie, il carattere del fratello, deciso a sposare la miliardaria statunitense Wallis Simpson, pluridivorziata, lo costrinse ad abdicare proprio in favore di Bertie, che divenne così re Giorgio VI.
A quel punto, era il 1936, le cure di Logue divennero fondamentali: il re doveva parlare alla nazione dai microfoni della BBC per spiegare l'ingresso in guerra.
Dopo il brillante Il maledetto United, Hooper si affida ad un altro esperto di biografie e film storici (David Seidler), con un cast ricchissimo e un budget discreto, per lanciare l'attacco agli Oscar. Anche se le nomination gli danno, per il momento, ragione (ne ha collezionate ben 12), il film non va oltre un buon affresco storico (non si sa quanto ispirato alla realtà), con un'ottima verve ironica, piuttosto divertente (molto inglese), un'egregia direzione degli attori, qualche buona trovata di regia.
Film tecnicamente impeccabile, nonostante punti molto sul rapporto dottore-paziente che diventa di amicizia e stima (quando l'amicizia, negli ambienti monarchici, è una merce piuttosto rara), oltre che sul simbolismo doppio affidato alla parola [il primo è quello che contrappone la parola "giusta" (quella, appunto, del discorso di re Giorgio VI), contro quella "sbagliata" (di Hitler), il secondo è quello della riappropriazione della parola che è legata al proprio io], rimane un po' impigliato nel formalismo dell'immagine, impeccabile, appunto, sia visivamente che dal punto di vista recitativo, ma non riesce ad emozionare più di tanto.
C'è poco altro da aggiungere, purtroppo. Brava e misurata Helena Bonham Carter (Elizabeth Bowes-Lyon), curioso Guy Pearce (Edoardo VIII), ottimo ed istrionico come sempre Geoffrey Rush (Lionel Logue), praticamente inappuntabile Colin Firth (Bertie - Giorgio VI), che molto probabilmente, dopo il Golden Globe si prenderà pure un Oscar, ma, tra i moltissimi caratteristi, la prova più impressionante è quella di Timothy Spall nei panni di Winston Churchill.
Più forma che sostanza.
Nessun commento:
Posta un commento