Hung - di Dmitry Lipkin e Colette Burson - Stagioni 1 e 2 (10 episodi ciascuna; HBO) - 2009/2010
Detroit. La crisi lì ha colpito duro, come Marchionne ci insegna. Ray Drecker è insegnante ma soprattutto il coach (basket e baseball) delle squadre della high school locale. Quando la stessa scuola la frequentava lui, Ray era una specie di leggenda: grande atleta, futuro luccicante. Poi, un infortunio, e fine dei sogni di gloria. Ma era sempre un uomo bello e prestante, e sposò la più bella, la regina delle cheerleaders: Jessica.
Non durò: Jessica da qualche anno ha voluto il divorzio, si è risposata con lo sfigato della scuola, che adesso fa il dermatologo e guadagna bene (Ronnie). Ray è tornato a vivere nella casa dove è cresciuto con i genitori, in riva al lago, una casa stile baita tutta in legno, e i suoi figli, i due gemelli Damon e Darby, sono voluti andare a vivere con lui. Ma a causa di un corto circuito, la casa prende fuoco, e i tre si salvano per miracolo. Con la casa danneggiata per migliaia di dollari, una paga più bassa di quella di un idraulico, e la spada di Damocle dei tagli all'educazione che pende anche sulla sua testa, Ray non sa più cosa fare. Disperato, imbattendosi nella pubblicità di un corso per "diventare imprenditori di se stessi", si reca alla prima lezione, dove l'istruttore sprona gli allievi ad individuare il proprio punto forte, la propria eccellenza, dopo di che gli insegnerà come venderla. Per circostanze che non vi voglio rivelare, grazie a quella che parrebbe un'offesa, Ray mette a fuoco qual è la sua di eccellenza: ha un pene fuori dal comune. Come metterlo "a frutto"? Lo vedrete in Hung.
Dmitry Lipkin, già creatore di The Riches (che ancora non mi ha convinto pienamente), insieme alla moglie Colette Burson, si è inventato questo Hung, magari prendendo spunto da Secret Diary, traghettandolo negli States e ponendolo al maschile. Ma a suo favore depongono l'ambiente e le motivazioni. Infatti, se pure Hung rimane una serie fondamentalmente divertente, la crisi economica e la paura di perdere tutto fa da filo conduttore della storia, forse più del sesso. Non a caso, la serie è ambientata a Detroit, e la sequenza iniziale del primo episodio (della prima stagione) è esplicativa.
Più del protagonista, un Thomas Jane che ricordavo ne Il Punitore, e che risulta perfettamente a suo agio nel dimostrarsi non a suo agio (scusate il gioco di parole) a fare il "secondo lavoro" che si decide ad intraprendere, oltre ad essere un perfetto esempio di maschio medio statunitense, poco informato e molto sportivo, ma fondamentalmente buono, sono i comprimari che ne fanno un prodotto interessante e godibile.
Come succede spesso, sono quasi tutti caratteristi, che difficilmente abbiamo visto al cinema in ruoli da protagonista, se si eccettua Anne Heche, lodevole nei panni di Jessica, la ex di Ray, un po' svampita, rosa da dubbi e nervosa sia per il suo rapporto con l'ex marito, sia per quello con l'attuale marito, ed infine per quello con i due figli.
Jane Adams è Tanya, una delle due "amiche" di Ray. Personaggio complesso che mette in scena perfettamente l'inquietudine del sentirsi fuori posto in questa società. Rebecca Creskoff è una incredibile scoperta, almeno per me. Interpreta Lenore, una donna che di mestiere fa la lifestyle coach (in teoria ti insegna a vivere, in pratica non fa nulla ma vive nel lusso, viene pagata per far spendere soldi ai ricchi), e non ha nessun dubbio: l'antitesi di Tanya. La Creskoff mi ha fatto venire un'idea, poi rivelatasi sbagliata: ad un certo punto ero convinto fosse Christina Hendricks, la Joan Harris di Mad Men, adattata ai giorni nostri, dimagrita e vestita alla moda, ugualmente rossa. Poi invece ho scoperto che è un'altra attrice, ma che in Mad Men fa una piccola parte (Barbara Katz, sul finire della prima stagione, se non ricordo male). A lei si debbono alcune delle scene di nudo più disinvolte, e al tempo stesso eccitanti (non sono le uniche, come potrete facilmente intuire).
Ci sono poi i due figli di Ray e Jessica: Darby, interpretata da Sianoa Smit-McPhee (sorella di Kodi, il co-protagonista di The Road, e figlia di Andy McPhee, caratterista che abbiamo visto ultimamente in Sons Of Anarchy nei panni di Keith McGee), e l'ancor più spettacolare Damon, interpretato da Charlie Saxton, un personaggio che sono sicuro ci regalerà altre perle nelle prossime stagioni. Altro alfa-omega, i due figlio sono il contrario dei genitori: Darby e Damon sono grassi, sfigati, tendenzialmente goth-metal (quando in una scena si intravede uno sticker dei Converge nell'armadietto scolastico di Darby mi sono messo ad applaudire), sicuramente non popolari tra i loro coetanei. Due parole anche per il versatile Gregg Henry (Mike), visto moltissime volte, ultimamente in The Riches, Eddie Jemison (Ronnie) e Marylouise Burke (l'implacabile madre di Jessica, di origini polacche), che contribuiscono alla verve tragicomica della serie. Mi va di citare, tra i personaggi non inseriti nel cast principale, Alanna Ubach, un'attrice comica (e doppiatrice) particolarmente attiva (e brava) nei panni di Yael Koontz, la vicina di casa israeliana di Ray, anche lei protagonista di alcuni siparietti gustosissimi.
La durata di circa 28 minuti ad episodio contribuisce a renderlo un prodotto snello e da gustarsi come caramelle, ottimo anche dal punto di vista tecnico/visivo. Curiosità: il pilot è stato diretto da Alexander Payne (A proposito di Schmidt, Sideways - In viaggio con Jack), nella seconda stagione l'episodio Beaverland vede alla regia Lisa Cholodenko (The Kids Are All Right, Laurel Canyon). I titoli di testa sono eccezionali, sulle note della splendida I'll Be Your Man dei Black Keys.
Non mi è piaciuta la piega presa dal rapporto tra Ray e Jessica verso la fine della seconda stagione, ma la terza, che dovrebbe cominciare verso fine giugno 2011, ci dirà se era funzionale al proseguimento, o meno. Per il momento, il bilancio delle prime due stagioni è positivo.
Nessun commento:
Posta un commento