Rabbit Hole - di John Cameron Mitchell (2011)
Giudizio sintetico: si può vedere (3/5)
Giudizio vernacolare: deli'ato guasi 'mpercettibile
Becca e Howie Corbett sono una bella coppia di quarantenni. Bella casa, arredata con gusto, grande giardino, nello stato di New York, ampi spazi verdi, poco traffico, gente tranquilla. Lavori di un certo prestigio, la coppia è decisamente agiata. Ma i due sono alle prese con la difficile elaborazione del lutto peggiore che possa capitare a due genitori: il loro figlioletto Danny è stato ucciso, pochi mesi prima, da un auto. Il guidatore non ne ha colpa: Danny inseguiva il cane di famiglia, ed è piombato in strada all'improvviso.
Becca e Howie seguono ognuno una strada diversa, per superare il dolore. I vicini provano a far sentire loro una certa vicinanza, la famiglia di Becca (la madre Nat e la sorella Izzy) fa di tutto per non urtare i loro sentimenti feriti, Howie frequenta un gruppo di sostegno che Becca non sopporta, ma qualunque cosa facciano, in qualsiasi maniera si comportino ed agiscano, il dolore non si placa. Ed è difficile anche stare vicini fisicamente, quando si è in queste condizioni.
Mentre Howie prova a ristabilire una parvenza di normalità, anche giocando a squash con l'amico Rick, per dirne una, Becca, che ha lasciato un lavoro prestigioso da Sotheby's, e che non è riuscita a riprendere, si occupa ossessivamente del giardino, della cucina, della casa, finché non decide di pedinare Jason, il ragazzo che guidava l'auto che ha ucciso Danny...
Apparentemente, sembra di assistere ad un notevole cambio di registro per il trasgressivo regista dei favolosi Hedwig - La diva con qualcosa in più e Shortbus. Fortemente voluto da Nicole Kidman, anche produttrice, trasposizione dell'omonima pièce teatrale di David Lindsay-Abaire, premiata con il Pulitzer Prize for Drama, il film, con la sceneggiatura dello stesso Lindsay-Abaire, pare avesse dovuto essere diretto in un primo momento da Sam Raimi, che però ha abbandonato per dirigere il prossimo Spider-Man. Ecco quindi che è subentrato Mitchell, che ha lavorato quasi per sottrazione, aggiungendo solo gli scenari verdi e tranquilli dello stato di New York. La cosa più trasgressiva del film, e quindi del comportamento dei due protagonisti, è che nessuno dei due agisce come ci si aspetterebbe normalmente da una coppia che subisce un lutto del genere: non vi dico altro, per non guastarvi quel poco di sorpresa che vi aspetta.
E l'importante, è che non vi aspettiate fuochi d'artificio da questo film, magari perché da questo regista, come detto prima, ci si attende sempre qualcosa di altamente trasgressivo.
Una delle taglines del film, a mio parere, riassume una buona parte del concetto: The only way out is through, qualcosa tipo "l'unica via di uscita è attraverso", così come lo stesso concetto viene espresso da un dialogo tra Becca e la madre, in uno dei momenti topici della storia, quando Becca le domanda "Does it never go away?", "Se ne andrà mai?", riferendosi al dolore lancinante della perdita, visto che anche la madre Nat ha perso un figlio, il fratello di Becca e Izzy, purtroppo tossico.
Torniamo all'inizio. Dicevo, apparentemente, sembra un'opera che non abbia nulla a che vedere con le sue precedenti. Ma, seppur la storia non sia sua (e questo conta), anche qui siamo alle prese con esseri umani che si confrontano con le difficoltà che la vita presenta loro (e scusate se "paragono" la sessualità con la morte, o meglio, con la presecuzione della vita dopo una morte vicina). E, guarda un po', anche in questo caso (forse voglio convincermi da solo, oppure è proprio per questo che Mitchell ha accettato di dirigere questo film) i protagonisti scelgono la via più difficile per affrontare il tutto, perché in fondo, Becca e Howie fanno quello che si dovrebbe fare, ma che di solito non si riesce a mettere in pratica.
Ecco, forse, perché, a qualcuno sembrerà di assistere ad una storia di assoluta normalità, mentre, a mio parere, si tratta di straordinaria normalità.
Cast che si adegua al tenore della regia, che agisce sottotraccia, in un film dove perfino la fotografia, perfetta ma non scintillante come avrebbe potuto essere, segue un percorso preciso.
Nicole Kidman (Becca) è sempre brava, anche se, purtroppo, il suo volto denota palesemente i segni dei "ritocchi" che la rendono innaturale, Aaron Eckhart (Howie) sembra nato per questa parte, anche se chi lo segue sa che è capace anche di ben altro (è uno dei miei attori statunitensi preferiti fin da Nella società degli uomini), Dianne West (Nat) e pure il giovane Miles Teller (Jason) sono degnissimi comprimari, in parti piccole ma fondamentali.
Mitchell è al servizio della storia (anche se si concede qualche simpatica divagazione coi fumetti di Jason), e la storia parla sia al cuore che alla testa, così come dovrebbe fare un amico. Un film non sconvolgente, ma che sarebbe bene vedere.
5 commenti:
per me la parte legata ai fumetti non è solo divagazione, ma è stata uno dei punti di svolta...con la teoria degli universi paralleli...
l'ho trovata una delle parti più interessanti!
(sembra che il personaggio di becca in un certo modo venga proprio toccato da questa teoria)
probabilmente mi sono espresso male; la divagazione era intesa visivamente, soprattutto quando all'inizio fa vedere, un po' alla volta, come Jason disegna.
ah ok, non avevo capito!;-)
Film che ho in programma di andare a vedere, anche se non so quando. Comunque bella recensione.
Una stupida curiosità: l'incipit sembra quello di "Turista per caso". Film che poi prende tutt'altra piega. Ma che all'inizio ha nella morte del figlio l'effettiva separazione di due persone che si amano.
Grazie Filo. Sai che non ricordavo questa somiglianza, adesso si.
Mi sono dimenticato di dire che dovrebbe uscire il prossimo venerdi, 11 febbraio.
Detto questo, è sempre più difficile provare a raccontare qualcosa, soprattutto le sensazioni che un buon film ti regala, evitando di fare spoiler, perchè va bene sapere di cosa si tratta, ma più di tanto non è corretto dire, perchè altrimenti davvero togli tutto il gusto a chi ancora deve vederlo.
Ti e vi assicuro che spesso, come in questo caso, mi devo autocensurare, perché scriverei ancor più diffusamente, svelando goffamente, in pratica, tutta la trama.
Posta un commento