No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20110421

terminatrix


Accabadora - di Michela Murgia (2009)

Sardegna, anni '50. Siamo in un paese chiamato Soreni. Maria, sei anni, è la quarta figlia femmina di Anna Teresa Listru, povera e vedova. Tzia Bonaria Urrai invece è benestante (relativamente, per quella terra e per quell'epoca), anziana (dimostra anche più anni di quelli che ha realmente), vedova "di un marito che non l'aveva mai sposata", e senza figli ("non mi si è mai aperto il ventre").
In base ad un'usanza probabilmente sarda, ma chissà, dettata da un mix di necessità, diseguaglianza sociale e pragmatismo semplice ma efficace, Maria diventa fill'e anima (plurale fillus de anima) di Bonaria. Senza tagliare i ponti con la famiglia biologica, dietro una ricompensa in natura, Maria viene accolta nella grande casa di Bonaria, dove ha una stanza tutta sua (che, inizialmente, fatica ad occupare), e pasti ricchi, se confrontati a quelli che aveva avuto nei sei anni in casa Listru. Come una figlia.
Bonaria fa la sarta, ma in realtà vive di rendita; inoltre, a volte esce di notte. Maria ci metterà un po' a capire perché.

Come spesso mi capita, forse per snobismo, forse per evitare una sorta di pressione, ho atteso pazientemente che l'eco dei premi vinti da questo libro diventasse sordo, e l'ho letto. Non mi aspettavo un libro così snello (164 pagine), e, non so perché, neppure una storia ambientata in una Sardegna del passato. Nonostante qualche giustificata critica (mancato approfondimento della relazione tra Maria e Bonaria, "fuga" in continente, storia semi-sentimentale in quel di Torino), il mio giudizio su questo lavoro della scrittrice che, ricordiamocelo, ha esordito con il libro Il mondo deve sapere, che ha ispirato, ad oggi e a mio modesto parere, il miglior film di Paolo Virzì Tutta la vita davanti, è ampiamente positivo.
La Murgia ha il merito di usare una bella prosa, al tempo stesso forbita, arcaica e, molto sottilmente, velata di sardo, tra l'altro riuscendo sia con i dialoghi, sia con il semplice racconto, a forgiare frasi che sembrano scolpite nel marmo, e provenire dritte dalla saggezza popolare, a trasportare il lettore in una realtà non così distante, ma avvolta da una sorta di misticismo cattolico in salsa quasi stregonesca, ad affrontare, con lo "stratagemma" dell'accabadora, il tema dell'eutanasia, e perché no, perfino dell'adozione, con la "rivelazione" dell'usanza dei fillus de anima. I personaggi del libro hanno "la terza elementare" ma rivelano un'umanità profonda e commovente, e spesso l'autrice, così come si farebbe in un film con bravi attori, lascia parlare il non detto. Per questo, le critiche alla brevità e all'eventuale approfondimento del rapporto principale della storia, quello tra Maria e Bonaria, potrebbero anche trovare risposta in una scelta precisa della scrittrice.
Breve ma intenso, e pure discretamente profondo, un lavoro che lascia sperare in un radioso futuro letterario per questa sarda dalla faccia simpatica, che, pare di capire, è stata lei stessa fill'e anima (inoltre, il libro è dedicato A mia madre. Tutt'e due.).

Nessun commento: