Il matematico indiano - di David Leavitt (2007)
Questo libro, al momento ultima fatica dello scrittore di Pittsburgh che si divide tra la Florida, dove insegna, e la Toscana, dove passa una buona parte del suo tempo insieme al suo compagno, è un piacevole (alla lettura) racconto (abbastanza lungo, 593 pagine), ispirato ad una storia vera (anzi, diciamo almeno due): quella del matematico indiano Srinivasa Ramanujan (1887-1920), a detta degli esperti uno dei pochi geni storicamente riconosciuti dalla matematica, e del matematico inglese Godfrey Harold Hardy (1877-1947), il suo "scopritore", per farla breve.
L'impresa di Leavitt, oltre a quella di riuscire ad elaborare un romanzo (che ha un incipit piuttosto complesso, e che può risultare scoraggiante) dal grande fascino storico, utilizzando non solo le due figure citate prima, ma molte altre, alcune delle quali se possibile ancora più famose, è quella, più terra terra, di riuscire a rendere in un certo qual modo affascinante la matematica e ciò che gli gira intorno (un po' l'intenzione di Hardy con il suo Apologia di un matematico), nottate davanti alla lavagna comprese.
Non c'è solo questo; il libro, scritto come sempre in maniera elegante, ma che non disdegna scendere pure verso la cruda descrizione del sesso, quasi sempre omosessuale (ma, forse per rispettare la definizione di Hardy dettata dal collega di una vita John Edensor Littlewood, altro protagonista della storia, di "omosessuale non praticante", in questo libro, rispetto agli altri di Leavitt, di sesso ce n'è davvero poco), riesce perfettamente sia a calare il lettore nell'atmosfera inglese dei campus, così come in quella di Londra, o di altre cittadine meno affollate, sia a dipingere bene lo stato d'animo degli inglesi verso la Prima Guerra Mondiale.
Non ultimo, il tema da sempre caro a Leavitt, quello dell'omosessualità. Più che struggenti, più che tormentati, i sentimenti di Hardy al riguardo. Molto ben descritte anche le poche figure femminili della storia, sia quelle inglesi che quelle indiane. Notevoli, appunto, pure le brevi parentesi indiane.
Un libro sul quale l'autore, si vede, ha lavorato molto, non solo di fantasia (nelle note finali spiega punto per punto quali siano le storie vere e quali quelle completamente inventate), e che, come detto, parte in maniera un po' macchinosa, ma che quando si dipana diventa scorrevole, piacevole ed interessante, e ci fa riconoscere il "vecchio" David Leavitt, anche se, bisogna ammetterlo, meno "minimalista gay" e più romanziere.
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