No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20110426

milioni


Millions – di Danny Boyle (2005)


Giudizio sintetico: si può perdere (2/5)
Giudizio vernacolare: 'nzomma


Damian e Anthony abitano a Manchester, e sono da poco orfani di madre. Il padre Ronnie però, non gli fa mancare niente; anzi, compra una nuova casa in un quartiere più bello e tranquillo (a parte i ladri per Natale, è statistico), e tutti insieme vanno ad abitare lì. Mancano pochi giorni all’ingresso dell’Inghilterra nella moneta unica europea, e Damian è in fissa con la religione; conosce tutti i santi, compresi i loro anni di nascita. Ha visioni su di loro. Si costruisce un rifugio di cartone e si diverte a sentirlo tremare quando passano i treni lì vicino. Un giorno, dopo il passaggio di un treno, il rifugio è distrutto da una pesante borsa (Nike, una mega-marchetta). La borsa è piena di sterline, e restano pochissimi giorni per spenderle. Damian mette al corrente Anthony, che ha le idee più chiare di Damian ed è anche molto meno idealista e sognatore. La cosa, come è ovvio, si complica non poco.

Boyle è eclettico, probabilmente uno dei registi più eclettici che ci siano in giro. Guardate la sua filmografia. Un debutto interessantissimo con un thriller inusuale (Piccoli omicidi tra amici, 1995), il suo capolavoro con una storia psichedelica e adrenalinica di droga (Trainspotting, 1996), un paio di flop americani con storie d’amore strane (Una vita esagerata, 1997, The Beach, 2000), un film fanta-apocalittico niente male (28 giorni dopo, 2003), e adesso un film che pare fatto apposta per le famiglie. Non completamente riuscito, purtroppo.
Colpisce la fotografia, accesa e allegra, un po’ strana per chi considera Manchester grigia, ma è così che l’ha voluta Boyle, perchè è così che la vede lui (come dargli torto, ognuno ha a cuore le proprie radici del resto); colpiscono le acrobazie di regia, i movimenti di macchina e gli effetti di velocità sui fotogrammi, cose che caratterizzano lo stile dell’inglese; colpisce Alexander Nathan Etel, il bambino che interpreta Damian, così come le caratterizzazioni dei bambini in generale; meno quelle degli adulti.
La sceneggiatura, anche se confusionaria (e visionaria), nella prima parte regge bene e diverte, mentre nella seconda affoga verso un finale scialbo.
Un film non riuscitissimo, un regista del quale continuiamo a fidarci.

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