Il giocatore - di Fedor Dostoevskij (1866)
Nella seconda metà del 1800, Aleksej Ivànovic, narratore della storia, fa parte di una specie di famiglia allargata. E' infatti il precettore dei due figli piccoli di un vecchio generale vedovo, che sta aspettando, insieme al resto della famiglia, la morte della baboulinka, la nonna, che possiede una ricca eredità. Il generale ha anche una figliastra, Polina, della quale Aleksej è innamorato senza esserne ricambiato, e con la quale ha un rapporto quasi da schiavetto. Insieme a loro, nella città termale tedesca di Roulettenburg, famosa oltre che per le acque, per il suo casinò, si muove una compagnia legata da vincoli sospetti e poco chiari. C'è Mar'ja Filippovna, Mr. Astley, un inglese ricco, educato e piuttosto timido, il marchese francese De Grieux (anche se all'inizio è un conte), M.lle Blanche, anche lei francese, che è lì con la madre. Il generale è innamorato di M.lle Blanche, ma è evidente che senza eredità la francesina non lo impalmerà. De Grieux sembra tenere in pugno quasi tutti, escluso Aleksej, che non riesce a comprendere il perché. Polina è la prima che lascia intuire di dovere del denaro a qualcuno, incaricando Aleksej di giocare dei soldi alla roulette per conto suo. Ogni giorno si inviano telegrammi a Pietroburgo, nella speranza che, di ritorno, arrivi la notizia della morte della baboulinka. E invece...
Chiariamo, anche questa volta, che, dato il mio percorso "autodidatta" e poco classico, a proposito di letteratura, è questo il primo (e per il momento unico) libro di Dostoevskij che leggo. Noto che in molti sostengono sia uno dei migliori: non lo metto in dubbio. Di certo, ha una storia quantomeno curiosa, ed, in un certo qual modo esorcizza un problema serio che il russo aveva con il gioco. Esorcizza per modo di dire, visto che ebbe sempre gravi problemi di soldi a causa del suo vizio: almeno, così ci dice la storia.
Lo stile è ovviamente pomposo, formalissimo, adatto all'epoca (l'ho letto nella traduzione di Giacinta De Dominicis Jorio, la prima, del 1959, tra l'altro), ma nonostante ciò scorrevole e perfino divertente, seppur con un retrogusto amaro.
Trasporta correttamente indietro nel tempo, tra manierismi dell'alta borghesia, descrivendo le varie classi sociali, e curiosamente l'intreccio tra persone di diverse provenienze (intesa come nazionalità), inquadrando vizi e virtù che tutto sommato rimarranno indelebili nel corso del tempo.
Resoconto fedele di una patologia che sopravvive, e se possibile aumenta a tutt'oggi, come detto, diverte in superficie, ma, in fondo, è piuttosto amaro: sembra quasi, nel finale, di toccare con mano una sorta di rimpianto.
Pensate che è stato scritto in meno di un mese, per far fronte ai debiti (manco a dirlo) contratti al gioco, ed in contemporanea con la stesura di Delitto e castigo.
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