Da Internazionale nr. 754
Permesso di amare
di Mihai Mircea Butcovan
“Per carità, non permetterei mai a mio figlio di sposare una rom!”. L’editto della signora brianzola, proclamato dal panettiere, non mi stupisce. L’ho sentito spesso nella mia vita. In Transilvania, riferito a rumeni o a ungheresi. In Padania, nei primi anni novanta, riferito a meridionali o “terroni”. Poi il divieto si è esteso a marocchini e albanesi. Poi di nuovo ai rumeni e ora ai rom. Domani chissà. Eppure il numero delle coppie cosiddette miste è in aumento, forse perché molti genitori hanno abbandonato la loro arroganza “autorizzando” i figli a decidere da soli chi e cosa amare. O forse perché le persone stanno cambiando il loro modo di pensare. “Io sono figlio di una coppia mista, mio padre era rumeno, mia madre rom e si volevano un gran bene”, racconta Romulus. Ma lui non usa l’aggettivo “mista” per distinguere una storia d’amore dalle altre in base alla diversità culturale o etnica, come potrebbero fare i sociologi. “Vivevamo a Bucarest con mio padre, poi quando lui è morto siamo tornati a stare con i nonni materni”. Figlio di un rumeno, con passaporto rumeno, oggi per gli italiani Romulus è uno zingaro. Al lavoro si limita a dire che è rumeno. Ma è preoccupato per suo figlio: “A scuola, se non dice che è anche rom va tutto bene. C’ha la fidanzatina, come dicono i ragazzi, italiana. Finché lei pensa che è rumeno saranno amici, poi chissà…”. Ci sono diversi tipi di coppie miste rom-gagè. Per esempio le coppie che, una volta formate, dimenticano l’origine di uno dei due, quella più “debole”. C’è anche chi nega questa origine per vergogna e per sfuggire alla frequente stigmatizzazione dei rom.
In assenza di testimonial eccellenti, molti preferiscono semplicemente non parlarne. “Non è il momento”, dice uno di loro, “soprattutto per i miei figli”. Un’altra è lapidaria: “Io sono figlia di
rom, amo un italiano e mi sento amata da lui. Ma in giro evitiamo di parlare delle mie origini”.
Florica invece guarda al futuro così: “Ho girato il mondo, io. Con la mia famiglia rom. Se mia figlia sposasse un gagè, come dovrei chiamare mio nipote? Gagè? Ma no, sarà mio nipote. E pure nipote dell’altra nonna. Mi dispiacerebbe solo se si dovesse vergognare della nonna rom”.
Domani chissà. Forse si parlerà di coppie, di amori, inalmente di persone. “L’unica razza che conosco è quella umana”, diceva Einstein. Vale la pena pensarci su, magari mentre si compra il pane.
MIHAI MIRCEA BUTCOVAN è nato nel 1969 in Romania e vive in Italia dal 1991.
Lavora a Milano come educatore per il recupero dei tossicodipendenti. Ha pubblicato Allunaggio di un immigrato innamorato (Besa 2006).
1 commento:
prima molti italiani erano, alle fine, dei veri campinilisti, con il cuore rimasto nel loro paese (città/villaggio)...se ne fregavano del resto del mondo...un po' ignoranti si, ma non nocivi....
non è più così..
oggi sono/sembrano di essere fieri di non conoscere altre culture/razze/mentalità perchè ci sia una solo VERA, quella del "mio paese italiano"...
vedono con molto sospetto quelli con un'altra cultura e/o mentalità...per non parlare dei Rom, gente che -scandalosamente- non si sogna una Patria perchè vivono in un mondo intero....i veri anticipatori del mondo globilizato dove le frontiere fra i paesi sono marcati artificialmente, per accontentare la fame dei potenti...
Ora si sta costruendo la Nuova Fortezza Europa....ci rimarrà sempre la gente che non può riconoscere la sua esistenza..che continuerà a dare l'assalto alla certezza occidentale...
sono talmente diversi che fanno paura alla gente che si sogna una vita ritirata sotto il suo campanile...
per quello le persone che danno l'assalto alla Fortezza sono nominati "clandestini"
Una volta i clandestini erano le persone che facevano la Resistenza contro il Regime...ora comincio a sentirmi un clandestino io, straniero in Italia, magari clandestino in doppio senso...
Posta un commento