Extraordinary Machine - Fiona Apple (2005)
La storia, triste a dir la verità, di questo album forse l’avete sentita da qualche parte: i fans hanno fatto pressione sulla casa discografica per riuscire a metter fuori il nuovo lavoro della Apple (Fiona). Grande l’attaccamento dei fans, triste la posizione della casa discografica. Riteneva il lavoro poco radiofonico. Come ho letto su una recensione, condividendola in tutto e per tutto, se questo è vero, è un problema delle radio. Perché non è che stiamo parlando di cacofonia!
Parliamo del disco in sé, dunque. Probabilmente non sarà il miglior lavoro di Fiona, che tra l’altro ci ha abituato molto bene, soprattutto col suo debutto del 1996 “Tidal”. Una particolarità molto interessante però c’è, in questo nuovo cimento artistico di questa brava cantautrice newyorkese: con questa prova, Fiona si propone come alter ego femminile di Tom Waits. La voce è molto meno scartavetrata, anche se piuttosto robusta per essere femminile, ma l’incipit di Better Version Of Me, e l’incedere marcettistico di Window, non lasciano dubbi sull’ispirazione. Il marchio di fabbrica Fiona Apple, quel sapore agre, triste ma allo stesso tempo canzonatorio, quella rassegnazione di fondo che riesce da sempre ad immettere nelle sue canzoni e nel suo timbro vocale, inconfondibile rispetto alle sue molte muse ispiratrici, le stesse cose che possiamo vedere dentro i suoi occhi, anche solo guardando una sua foto, le possiamo sentire nei pezzi senz’altro migliori di questo “Extraordinary Machine”, e cioè la sussurrata e pianistica Parting Gift, la quasi gemella Not About Love, che sembra la naturale prosecuzione, somigliante nell’introduzione pianistica, poi diversificata nel crescendo d’archi, ma soprattutto, curiosamente, nei due pezzi che usano il vocativo, Oh Sailor e Oh Well, due splendide ballate sincopate, biascicate ed arricchite dalla voce profonda e calda di una ex ragazza che sta diventando donna; quella voce che le difficoltà della vita non hanno fatto altro che rendere più bella.
Per concludere, bisogna tornare al discorso iniziale. Se è vero quel che si dice, e cioè che la struttura iniziale di questo disco doveva essere scarna anche a livello strumentale, quindi ancor di più verso Tom Waits, per intenderci alla “Bone Machine”, sono certo che un’artista come Fiona Apple non rimarrà certo con la voglia di produrre un album sofferto e particolare come uno del genere; e, visto che le buone canzoni e lo stile personale non mancano, consideriamo questo come un naturale passo di un’evoluzione che non tarderà a dare ottimi frutti.
Onesto, e, a fasi alterne, davvero bello.
La storia, triste a dir la verità, di questo album forse l’avete sentita da qualche parte: i fans hanno fatto pressione sulla casa discografica per riuscire a metter fuori il nuovo lavoro della Apple (Fiona). Grande l’attaccamento dei fans, triste la posizione della casa discografica. Riteneva il lavoro poco radiofonico. Come ho letto su una recensione, condividendola in tutto e per tutto, se questo è vero, è un problema delle radio. Perché non è che stiamo parlando di cacofonia!
Parliamo del disco in sé, dunque. Probabilmente non sarà il miglior lavoro di Fiona, che tra l’altro ci ha abituato molto bene, soprattutto col suo debutto del 1996 “Tidal”. Una particolarità molto interessante però c’è, in questo nuovo cimento artistico di questa brava cantautrice newyorkese: con questa prova, Fiona si propone come alter ego femminile di Tom Waits. La voce è molto meno scartavetrata, anche se piuttosto robusta per essere femminile, ma l’incipit di Better Version Of Me, e l’incedere marcettistico di Window, non lasciano dubbi sull’ispirazione. Il marchio di fabbrica Fiona Apple, quel sapore agre, triste ma allo stesso tempo canzonatorio, quella rassegnazione di fondo che riesce da sempre ad immettere nelle sue canzoni e nel suo timbro vocale, inconfondibile rispetto alle sue molte muse ispiratrici, le stesse cose che possiamo vedere dentro i suoi occhi, anche solo guardando una sua foto, le possiamo sentire nei pezzi senz’altro migliori di questo “Extraordinary Machine”, e cioè la sussurrata e pianistica Parting Gift, la quasi gemella Not About Love, che sembra la naturale prosecuzione, somigliante nell’introduzione pianistica, poi diversificata nel crescendo d’archi, ma soprattutto, curiosamente, nei due pezzi che usano il vocativo, Oh Sailor e Oh Well, due splendide ballate sincopate, biascicate ed arricchite dalla voce profonda e calda di una ex ragazza che sta diventando donna; quella voce che le difficoltà della vita non hanno fatto altro che rendere più bella.
Per concludere, bisogna tornare al discorso iniziale. Se è vero quel che si dice, e cioè che la struttura iniziale di questo disco doveva essere scarna anche a livello strumentale, quindi ancor di più verso Tom Waits, per intenderci alla “Bone Machine”, sono certo che un’artista come Fiona Apple non rimarrà certo con la voglia di produrre un album sofferto e particolare come uno del genere; e, visto che le buone canzoni e lo stile personale non mancano, consideriamo questo come un naturale passo di un’evoluzione che non tarderà a dare ottimi frutti.
Onesto, e, a fasi alterne, davvero bello.
Nessun commento:
Posta un commento