Le chiavi di casa - di Gianni Amelio 2004
Giudizio sintetico: da vedere (3,5/5)
Giudizio vernacolare: boia, di morto bello
Gianni è un giovane padre di famiglia, con una moglie e un figlio di 8 mesi (che non si vedono mai), vive e lavora vicino a Milano; ma nel suo passato c'è un figlio disabile, avuto 15 anni prima da una ragazza che è morta partorendolo. Gianni non lo ha mai voluto vedere, ma adesso, un po' perché ce n'è bisogno, un po' perché i sensi di colpa si fanno insopprimibili, ha l'occasione di stare con lui ed accompagnarlo a Berlino in una clinica specializzata. In questi giorni con Paolo deciderà di prenderlo con se, ma si accorgerà che non è facile, soprattutto perché i sensi di colpa spesso, ti affogano.
Messe da parte le provincialissime polemiche che hanno accompagnato la mancata premiazione a Venezia, c'è da dire innanzitutto che questo film è complementare a "Mare dentro", che invece è stato premiato, anche se solo per merito di Bardem; lo capiamo quando Nicole, la mamma di un'altra disabile che Gianni conosce a Berlino, una Charlotte Rampling algida e spietata che ci fa ben capire quale sia il calvario di un genitore di un disabile, racconta di quante volte si augura la morte della figlia.
Molto liberamente ispirato a Nati due volte di Giuseppe Pontiggia, il film è commovente dall'inizio alla fine, grazie soprattutto al tocco delicato di Kim Rossi Stuart, credibile nella sua goffaggine davanti alle problematiche dei disabili, ma anche alla sua spontaneità da "novellino" di certe cose, e alla mano del regista che insiste su una fotografia opaca e, soprattutto, su lunghe scene senza colonna sonora, che rendono interminabili le sofferenze.
Andrea Rossi, che recita (ma fino a un certo punto) il disabile Paolo è anche molto divertente con le sue ripetizioni e il suo romanesco che ricorda addirittura l'indimenticato Lorenzo di Guzzanti (con la sostanziale differenza che Paolo è laziale), ma indiscutibilmente e prevedibilmente toccante.
Acuta la scelta dell'ambientazione tutta tedesca, con Gianni e Paolo che non sanno una parola di tedesco, quasi a mettere sullo stesso piano "normali" con disabili a causa dell'incomunicabilità.
In definitiva un film che serve, per non dimenticare mai che ci sono anche "loro", per farci riflettere sulla nostra posizione privilegiata ma pure sulle profonde problematiche che la coesistenza comporta.
Finale asciutto (non dalle lacrime), col genitore che piange (in bilico tra passato e futuro), consolato (quasi rimproverato) dal figlio disabile.
Educativo.
Molto liberamente ispirato a Nati due volte di Giuseppe Pontiggia, il film è commovente dall'inizio alla fine, grazie soprattutto al tocco delicato di Kim Rossi Stuart, credibile nella sua goffaggine davanti alle problematiche dei disabili, ma anche alla sua spontaneità da "novellino" di certe cose, e alla mano del regista che insiste su una fotografia opaca e, soprattutto, su lunghe scene senza colonna sonora, che rendono interminabili le sofferenze.
Andrea Rossi, che recita (ma fino a un certo punto) il disabile Paolo è anche molto divertente con le sue ripetizioni e il suo romanesco che ricorda addirittura l'indimenticato Lorenzo di Guzzanti (con la sostanziale differenza che Paolo è laziale), ma indiscutibilmente e prevedibilmente toccante.
Acuta la scelta dell'ambientazione tutta tedesca, con Gianni e Paolo che non sanno una parola di tedesco, quasi a mettere sullo stesso piano "normali" con disabili a causa dell'incomunicabilità.
In definitiva un film che serve, per non dimenticare mai che ci sono anche "loro", per farci riflettere sulla nostra posizione privilegiata ma pure sulle profonde problematiche che la coesistenza comporta.
Finale asciutto (non dalle lacrime), col genitore che piange (in bilico tra passato e futuro), consolato (quasi rimproverato) dal figlio disabile.
Educativo.
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