Lavorare con lentezza - di Guido Chiesa 2004
Giudizio sintetico: si può vedere (3/5)
Giudizio vernacolare: si stava mellio vando si stava peggio
Bologna, tra il '75 e il '77, un gruppo di studenti diede vita a Radio Alice, la prima vera "radio libera" italiana, con l'intenzione di far parlare tutti.
L'esperienza finì il 12 marzo 1977, con la chiusura della radio da parte delle forze dell'ordine, dopo alcuni giorni di guerriglia urbana scatenatasi in seguito all'uccisione del 25enne Francesco Lorusso, da parte dei carabinieri.
Sono passati quasi 30 anni, ed è sempre interessante vedere come l'occhio del cinema descrive o romanzeggia la "nostra" storia recente; Guido Chiesa è un cineasta "militante", al quale piace affrontare argomenti "proletari" (a parte la parentesi storica de Il partigiano Johnny, dove ebbe il merito di aver descritto il dualismo interno alle forze partigiane, tra l'altro); stavolta però, pur conservando la sua "occhiata" operaia (fotografia cupa, primi piani sugli intonaci cadenti e riprese dei tetti delle case popolari, ambientazioni tipicamente italiane di quartiere), si è fatto aiutare nella sceneggiatura dal gruppo Wu Ming. Ne scaturisce una sceneggiatura complessa, che porta avanti almeno quattro storie con relative sottotrame, che alla fine si intersecano tra di loro e finiscono per interagire.
Il film è godibile anche per i più giovani, anche per chi ne sa poco, e anche se la posizione di Chiesa è visibilmente di parte; ottime le recitazioni nel loro complesso, segno di una buona mano, curiose le trovate registiche (ad esempio l'inserimento di alcune battute dei vari personaggi "fuori sincrono" col labiale); l'escalation della violenza pare credibile, proprio perché il morto arriva all'improvviso.
Colonna sonora quasi commovente e d'epoca, e sorriso che scatta al cameo degli Afterhours che, nei panni dei mai troppo rimpianti Area, rifanno a modo loro "Gioia e rivoluzione"; in una sorta di contrappasso, sui titoli di coda scorre, insieme alla vera registrazione in diretta della chiusura della radio, la versione originale (di Rino Gaetano) di "Mio fratello è figlio unico", la prima canzone in italiano cantata dagli Afterhours.
Il film è godibile anche per i più giovani, anche per chi ne sa poco, e anche se la posizione di Chiesa è visibilmente di parte; ottime le recitazioni nel loro complesso, segno di una buona mano, curiose le trovate registiche (ad esempio l'inserimento di alcune battute dei vari personaggi "fuori sincrono" col labiale); l'escalation della violenza pare credibile, proprio perché il morto arriva all'improvviso.
Colonna sonora quasi commovente e d'epoca, e sorriso che scatta al cameo degli Afterhours che, nei panni dei mai troppo rimpianti Area, rifanno a modo loro "Gioia e rivoluzione"; in una sorta di contrappasso, sui titoli di coda scorre, insieme alla vera registrazione in diretta della chiusura della radio, la versione originale (di Rino Gaetano) di "Mio fratello è figlio unico", la prima canzone in italiano cantata dagli Afterhours.
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