Carancho - di Pablo Trapero (2010)
Giudizio sintetico: da vedere (3/5)
Giudizio vernacolare: popo' di botte
Buenos Aires. In Argentina gli incidenti stradali, e le conseguenti invalidità, sono un business dove girano un sacco di soldi. La corruzione è ai massimi livelli. Sosa è un legale che ha perso la licenza, e si appoggia ad una fundación, gestita ai margini della legalità, che lavora pagando tangenti alle forze dell'ordine ed intascando parte dei rimborsi che le assicurazioni corrispondono agli incidentati. La notte è spesso in giro, si sa, la notte cala l'attenzione, il sonno spesso prende il sopravvento, e gli incidenti sono più probabili. E' un carancho, un avvoltoio, che appena annusa un incidente è lì pronto per farsi delegare per agire legalmente.
Una notte, mentre sta soccorrendo una persona (arriva sul posto sempre per primo, grazie ad agganci e al fatto che ascolta le frequenze della polizia), ecco che arriva l'ambulanza. La guida un conoscente, ormai sono anni che entrambi fanno il loro lavoro, mentre la dottoressa è una giovane donna, Luján, che per avanzare di carriera si sobbarca turni di notte con l'assistenza sulle ambulanze e turni regolari al pronto soccorso di un ospedale della periferia. Per resistere, si inietta regolarmente calmanti nei piedi, per occultare segni di siringa.
Sosa si invaghisce immediatamente, Luján è diffidente e costantemente stanca. Sosa insiste, e due anime solitarie si incontrano. La cosa si fa seria. Ma una sera, Sosa, sempre più voglioso di riscattarsi dal padrone della fundación, e di fare le cose per il verso giusto, ne fa invece una molto sbagliata...
Probabilmente sono troppo sensibile a tutto quello che viene dall'Argentina, perchè per ragioni che non vi sto a spiegare sono molto legato a questa terra. Però il fatto è questo: Trapero è un regista (e sceneggiatore) che sa veramente il fatto suo; Darín (qui nella parte di Sosa, leggermente ingrassato) è probabilmente il mio attore preferito, e Martina Gusmán (moglie del regista, qui è Luján, ed è davvero brava), oltre che essere bella di una bellezza vera, sempre "mascherata" per i film del suo uomo, e spesso "marcata" per le botte che prende, ha il suo dannato perchè. Prendendo spunto da un tema socialmente rilevante in Argentina, e denunciando poi tutta una serie di commistioni losche, Trapero mette in scena un (ennesimo) film duro, praticamente senza speranza, con un ritmo sostenuto, un uso della macchina da presa spesso invasivo, dritto nell'azione ed in mezzo ai protagonisti, non risparmiando una elevata dose di violenza, ed usando i due protagonisti senza passato (e senza futuro) per creare empatia tra il film e lo spettatore, mettendolo così a disagio per tutta la durata della pellicola. E' un gran risultato, credetemi.
Che avesse dei numeri, si capiva fin dal debutto sulla lunga durata, Mundo Grúa, che uscì anche da noi nel 2000 e vinse un premio a Venezia; con i suoi ultimi film, Leonera (anche lì c'era la Gusmán, bravissima) e questo Carancho, mette a punto uno stile personale, e al tempo stesso guarda a riferimenti importanti. La cosa funziona. Il film è stato scelto per rappresentare l'Argentina agli Oscar, e c'è Darín, che vinse l'edizione passata con Il segreto dei suoi occhi: chissà che non porti fortuna.
Un'ultima raccomandazione: se avrete la fortuna di vederlo (ovviamente al momento non è uscito in Italia), non vi appassionate troppo: potreste rimanerci male.
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