Kings Of Leon + Whigs, venerdì 3 dicembre 2010, Bologna, Futurshow Station
Il tempo clemente ci risparmia la neve, ed arriviamo a Bologna Casalecchio per l'unico appuntamento italiano con i Followill in orario. Mi dicono che si leggeva in giro che il concerto era sold out: sarà che siamo arrivati presto, ma non mi pare proprio. In effetti, anche a concerto ormai iniziato, le presenze si aggirano sulle 10mila, non so se ci arrivano, quindi esaurito stocazzo, usando un eufemismo. Cosa vorrà dire, non lo so. Si potrebbe fare ironia, si potrebbe essere cattivi. Prendiamone solo atto, e andiamo alla cronaca.
Alle 20,00 aprono i georgiani statunitensi Whigs, tre dischi all'attivo, mai sentiti nemmeno nominare. Alla fine dei (lunghissimi) 45 minuti di set, capisco perfettamente il perchè. Li catalogano come garage rock revival, ma basta revival per descriverli. Personalità nessuna, ma una buona mobilità sul palco. Non li rimpiangeremo.
Poco prima delle 21,30 entrano i Kings Of Leon sulle note di Invisible Sun dei Police, canzone che, a causa della vecchiaia, riconosco ma della quale non so mettere a fuoco né il titolo, né la band titolare (mi viene in soccorso questa recensione, che non condivido). Partono con Crawl, naturalmente da Only By The Night. Suoni rotondi, un po' impastati, il basso leggermente nascosto così come la chitarra solista. C'è un membro aggiunto che supporta con un'ulteriore chitarra o con le tastiere. Dico subito che la ventata di novità che portarono col loro debutto Youth And Young Manhood, che mi piacque molto, si è via via spenta per trasformare il loro genere in un moderno arena rock, ma questo lo sanno tutti e non importa che ve lo spieghi io, che ha raggiunto il suo apice col meraviglioso, appunto, Only By The Night. Ecco perchè la scaletta è composta dallo stesso numero di pezzi (sette) sia dal quarto disco, sia dal nuovo Come Around Sundown.
Detto questo, una cosa curiosa accade già al secondo pezzo, che è l'unico estratto dal loro debutto, Molly's Chambers. Mi sono andato a rileggere la mia recensione del loro primo concerto italiano: quel pezzo era risultato uno fra i migliori. Questa sera del 2010, non me ne sono nemmeno accorto, nonostante aspettassi proprio quei pezzi lì. Qualcosa dovrà pur dire. Le versioni, gli arrangiamenti, la scaletta tutta, sono completamente sbagliate. Hanno pezzi migliori, nel complesso, le esecuzioni che avevano bisogno di essere rinvigorite sono state eseguite rallentate, mentre pezzi bellissimi e trascinanti come Use Somebody, che chiude la prima parte del concerto, è stata velocizzata, massacrandola.
Insomma, il punto è quello che avrete già capito. I Followill, rispetto a sette anni fa, hanno imparato a suonare, e magari a non guardare continuamente il manico della chitarra, o del basso. Di certo non sono dei fenomeni, nessuno dei quattro. Ma, si sa, questo nel rock non è fondamentale: bisogna saper scrivere le canzoni. A volte riesce, a volte no. Quando fanno pezzi ben scritti, la voce di Caleb [il Bryan Adams dello (pseudo) alt-rock], particolare e coinvolgente, li canta, e il risultato c'è. Però dal vivo bisogna creare una certa empatia. E i quattro non hanno comunicativa, ancora oggi, sono poco sciolti sul palco, non riescono ad emozionare più di tanto.
Arriviamo al punto: il concerto è deludente. E non certo perchè durante l'esecuzione di Mary, al sesto pezzo in scaletta, salta l'impianto di amplificazione escluso le spie di palco, e la band continua a suonare come se non se ne fosse accorta, per poi scusarsi subito dopo (tra parentesi, come ho detto sul momento, in 30 anni di concerti visti, non mi era mai successa una cosa del genere). Non per quello. Il paradosso è che nonostante i Kings Of Leon abbiano deciso di diventare una band da stadio, scrivere le canzoni da stadio non basta: bisogna anche sapersi "comportare" da stadio, o da arena. Non bastano i fuochi d'artificio alla fine, il maxischermi, o il muro imponente di riflettori dietro al palco. Le persone vengono a vedere la band, prima dello spettacolo. Se la band si "nasconde", il concerto, alla fine, delude.
Questo è quanto.
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