No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20101215

best enemy


Il mio miglior nemico – di Carlo Verdone (2006)

Giudizio sintetico: da evitare (1/5)
Giudizio vernacolare: fa ca'à

Achille De Bellis è un classico romano arricchito: figlio di un portinaio, ha sposato Gigliola, di cognome Duranti, la cui famiglia possiede una catena di alberghi di lusso. Cameriera extracomunitaria al nero, villa lussuosa, una figlia che in pratica non conosce e della quale non riconosce i segnali. Per finire, amante giovane e bella, Ramona, terza moglie del cognato Guglielmo. Dimentico delle umili origini, dopo il furto di un pc portatile ai danni di un ricco cliente, non esita a licenziare Annarita, dipendente dell’albergo, rea di essere sospettata. Questo fatto gli cambierà la vita, visto che Annarita soffre di depressione, passa da un lavoro all’altro, ha una vita disordinata, e soprattutto un figlio a carico, Orfeo, che non ha mai conosciuto il padre e fa il cameriere in un bar, ma che tiene enormemente alla madre, al punto di decidersi a dichiarare una spietata guerra, tesa, appunto, a rovinare la vita di Achille, che si rifiuta, minacciato dallo stesso Orfeo, di riassumere Annarita. A complicare la faccenda, c’è che Orfeo si innamora di Cecilia, non sapendo che (tanto lo avrete capito tutti già dai trailer, altrimenti non proseguite la lettura) è la figlia di Achille.

Probabilmente soffro di pregiudizi in questo caso, ma non riesco a comprendere chi si è addirittura sperticato nel tessere le lodi di questo film, l’ennesimo tentativo di Verdone di darsi una patina di serietà. C’è sempre qualcosa che non convince nei suoi tentativi, saranno le gag telefonate anni luce prima, sarà quel suo ostinarsi ad ambientare almeno le basi dei suoi film sempre nella sua Roma (anche se quasi mai riesce davvero a descriverla in tutto il suo splendore, e, scusatemi, ma anche questo è un grandissimo limite a mio giudizio), sarà che quasi tutti i suoi film finiscono misteriosamente per avere una parte on the road che risulta puntualmente insulsa e inguardabile, sarà perché è nato per far ridere ed è inutile prendersela tanto, forse sarebbe meglio si limitasse a quello.
Sceneggiatura che fa acqua, recitazioni ingabbiate negli stereotipi, battutacce, morale da quattro soldi, e, ancora una volta, come una condanna, Silvio Muccino e quel suo modo di parlare che non ti fa capire una mazza di quello che sta dicendo.
Se questo è il film campione d’incassi negli ultimi weekend italiani…il resto aggiungetecelo voi.

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