Lo dico subito, sono qui per gli High On Fire, del resto mi interessa relativamente.
Ma arriviamo che la band di apertura, i Daath di Atlanta, ha iniziato da poco (eravamo in coda per i biglietti). Sciorinano un death metal piuttosto classico, pose del cantante (che ha la barba lunga quanto i capelli) comprese, ma bisogna ammettere che sono molto tecnici, batterista (Kevin Talley, ex Dying Fetus tra gli altri) e i due chitarristi (Eyal Levi, fondatore della band - il nome Daath è di ispirazione ebraica - e fratello di un direttore d'orchestra, ed Emil Werstler, più dinamico sul palco e spettacolare, un po' alla Dillinger Escape Plan per intenderci) su tutti. Tutto questo fa si che i passaggi degli assoli risultino interessanti, così come i velocissimi passaggi di batteria che punteggiano i pezzi, figuratevi che nei 30 minuti abbondanti di set ci fanno entrare pure un mini-assolo di batteria.
Come sempre all'Estragon, gli orari sono perfettamente rispettati, e alle 21,30 cominciano gli High On Fire, che per chi non lo sapesse sono una sorta di power-trio proveniente dallo doom metal, ma che inglobando elementi di sludge ha dato vita ad una interessante carriera low
profile ma costellata di dischi onesti e sound particolare. Il leader è Matt Pike, che si presenta a torso nudo, sfoderando una pancia da bevitore incallito, incastonata in un fisico allampanato e piuttosto flaccido, ma del resto ha numerosi tatuaggi da sfoggiare, e non appena attacca a suonare mi diventa immediatamente simpatico. Usa una chitarra a nove corde, e mentre il bassista Jeff Matz segue una linea distorta ma piuttosto usuale, ed il batterista Des Kensel disegna ottime variazioni sostenute e variegate, con discreta tecnica, Matt giganteggia definendo riff colossali con, appunto, un suono tutto particolare, ed ogni tanto rilascia assoli ricercati. Il cantato è potente, aggressivo al limite del growl, e tra un pezzo e l'altro ringrazia sinceramente il pubblico che ben recepisce la loro proposta. Bastard Samurai mi pare il centro azzeccato dei 45 minuti precisi ma intensi. Per me la serata può finire qui.
Ma c'è ancora l'attrazione principale della serata, i redivivi Fear Factory, nella "nuova" formazione. Forse ha ragione l'amica che mi accompagna: i litigi, i cambi di formazione, gli scioglimenti e le reunion, ti fanno come ricominciare da capo, e ti costringono a suonare in luoghi tutto sommato piccoli, rispetto alla tua discografia, o quantomeno all'influenza che hai avuto rispetto al genere che suoni, oppure negli stessi luoghi che chi è stato profondamente influenzato da te riempie, mentre a te rimangono le briciole. In effetti, l'Estragon è tutto fuorché pieno questa sera, ci si largheggia anche se forse si arriva al migliaio di unità, forse no. I FF si presentano con un nuovo disco dal titolo Mechanize, e con Gene Hoglan alla batteria. Considerando che oltre a Hoglan, a Dino Cazares alla chitarra, al basso c'è il canadese Byron Stroud, tre personcine che pesano più o meno quanto me, pur essendo qualche decina di centimetri in meno, non vorrei essere nel catering che li serve. Ancora amenità, Burton C. Bell alla voce sfoggia un nuovissimo e moderno taglio di capelli da giovanotto, e t-shirt nera con disegno rosso coordinata con le sneakers (nere e rosse, appunto). Si dà inizio alle danze con un muro di suono naturalmente imponente, dove altrettanto naturalmente Hoglan sorregge praticamente tutto l'impatto ritmico, permettendosi perfino di scherzare con le bacchette sui mid-tempos, Cazares e Stroud si scambiano continuamente di posto ai lati del palco, Bell non è quel che si dice un atleta ma almeno non rimane impalato, e con la voce tutto sommato se la cava discretamente, perdendo qualche colpo sulle parti melodiche, ma tenendo botta con dignità. I quattro non si risparmiano, svariano lungo il repertorio, e verso la fine l'annuncio di Replica viene accolto da un'ovazione, e anche se il pubblico non è stato dei più caldi, Bell ringrazia e pare convinto. Assistendo al concerto, si nota che la parte industrial degli albori è stata lasciata da parte, ma ci si rende conto perfettamente che ogni band screamo o metalcore (Underoath, per fare un nome a caso), ha un debito profondo con i Fear Factory (e qui si torna al discorso iniziale sul ricominciare da capo).
Per mezzanotte siamo già al caldo nell'abitacolo della macchina, e via verso nuove avventure musicali.
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