The Dillinger Escape Plan + Cancer Bats + The Ocean, venerdì 15 ottobre 2010, Roncade (TV), New Age Club
Lo ammetto, e me ne prendo tutta la responsabilità: il tanto desiderato, dall'immaginario collettivo, passante di Mestre, per me che lo percorrevo per la prima volta, mi ha tratto in inganno. Ecco, fondamentalmente, il motivo per cui ci perdiamo interamente i The Ocean, su cui l'amico Massi desiderava un riscontro, dopo che lui li aveva visti qualche giorno prima a Varsavia.
Al New Age era qualche anno che non mettevo piede, e me lo ricordavo peggio, anche se il palco rimane sempre troppo basso per la platea.
I canadesi Cancer Bats, autori fin qui di tre dischi, mettono in scena la loro setlist, dentro la quale fa capolino perfino una pessima cover di Sabotage dei Beastie Boys, e ci fanno ascoltare il loro metalcore un po' povero di idee. Ricordano i Pantera, e non solo per la stazza del chitarrista, o per l'atteggiamento del cantante (che però fisicamente è la metà di Phil Anselmo), soprattutto musicalmente, anche se noto un pezzo che è in pratica identico da The Thing That Should Not Be dei Metallica; ma tutto ha un suo filo logico. Va da sé che il tempo a loro disposizione mi sembra anche troppo lungo.
Poco dopo le 23,00, dopo che ci siamo gustati il cambio palco osservando meglio la preparazione, che ci è già stata descritta minuziosamente da Massi, le luci si attenuano, e lo show va ad iniziare. Signore e signori, ecco a voi la miglior live band esistente. The Dillinger Escape Plan.
Sono sempre loro, indiavolati attori di un momento, lungo poco più di un'ora (e devo dire che mi aspettavo un minutaggio meno consistente, ma evidentemente l'accumularsi del repertorio li ha messi davanti ad uno sforzo maggiore), un momento che ferma davvero il tempo, in un turbinio di note mai messe a caso, ma talmente tante e veloci da richiedere un'attenzione quasi religiosa, e ad un'esibizione sempre molto "muscolare" da parte di tutti i componenti. E' davvero difficile stabilire chi sia il più pazzo: siamo davanti ad una band di esagitati, sul palco, e solo il nuovo batterista Billy Rymer rimane naturalmente relegato a stare seduto (anche se poi, nel caos organizzato del finale del set, avrà il suo momento di "sclero", con uno dei roadies che rimarrà a suonare la grancassa, mentre lui andrà a prendersi la sua parte di ovazione da parte del pubblico).
Queste cose probabilmente le avrete già lette, magari qui. Il fatto è che questi non sbagliano una nota, nonostante il movimento e nonostante spesso i volumi rendano difficoltoso avere un'ascolto chiaro.
Si parte con Farewell, Mona Lisa, e bisogna rilevare che Greg Puciato ha qualche lieve indecisione con la voce, nella parte melodica centrale, ma ametterete anche che aprire un concerto a freddo con la parte precedente, se conoscete il pezzo, non è proprio quello che consiglia l'otorinolaringoiatra. Gli dà una mano, principalmente, Jeff Tuttle, sostenendolo con i cori. Probabilmente perchè Jeff risulterà alla fine meno impegnato di Ben Weinman ad arrampicarsi sui tubi dell'aria condizionata (foto 1), nei momenti in cui non è "al pezzo" con la chitarra.
Fix Your Face, Milk Lizard (dove Greg comincia a carburare anche sulle melodie), Room Full Of Eyes, Chinese Whispers, Sugar Coated Sour, Gold Teeth On A Bum (ottima, e finalmente Greg va via liscio), il mio pezzo favorito dall'ultimo Option Paralysis, la fenomenale Widower, in una versione che mi soddisfa appieno, l'altro grande (ormai) classico da Ire Works, Black Bubblegum, Lurch, per non dimenticarsi da dove vengono, anche se il pezzo non è dai primi due dischi, bensì ancora dall'immenso Ire Works, Good Neighbor, e Sunshine The Werewolf per chiudere la prima parte in bellezza, visto che durante l'esecuzione Greg si fa la classica "passeggiata" (cantando; prima di scendere fa sistemare l'asta del microfono dal pubblico in mezzo a loro!)
in mezzo al pubblico. C'è da notare che a dispetto della dimensione del locale, il light show è curatissimo ed efficace. Niente è lasciato, quindi, al caso. Ennesima dimostrazione di come la voglia di spaccare si possa accompagnare con una sorta di rispetto per lo spettatore che paga il biglietto. Pubblico annichilito come di consueto, ed ecco che i ragazzi tornano baldanzosi e di poche parole per chiudere definitivamente questo ennesimo concerto con un trittico composto dalla grandiosa Mouth Of Ghosts, dove Ben suona le tastiere e un roadie la sua chitarra (per dire, il riff di rientro finale, dopo l'assolo, è definitivo, oltre che epico), Panasonic Youth e 43% Burnt, con altrettanto classica arrampicata di Greg sulla struttura delle luci (foto 2), così da lasciare a futura memoria una mazzata mica da ridere come finale.
Prima di chiudere, occorre ricordare anche la barba da frate del bassista Liam Wilson.
Fuori, nel freddo dell'umido e laborioso Nord Est pre-alluvione, una certezza: Dillinger Escape Plan, best live band ever!
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