E così ieri ho terminato la visione della seconda stagione (altri 13 episodi) di Mad Men, dopo la prima stagione. L'episodio conclusivo, Meditations in an Emergency (da un libro di poesie di Frank O'Hara), coincide con il climax della crisi dei missili a Cuba (1962), e il clima è reso meravigliosamente, nonostante si intrecci con le diverse sottotrame del serial (Wikipedia in inglese infatti, alla voce Cuban Missile Crisis recita, al paragrafo In popular culture, "The second season finale of Mad Men, "Meditations in an Emergency," is set during the missile crisis, much of the episode is devoted to the panic of the characters in New York City"). Ogni episodio, da 45 minuti circa, è davvero ben fatto, ma verso la fine di questa seconda stagione sembra di assistere a dei mini-film magistrali. Il protagonista, Don Draper, è sempre il fulcro della storia, e non cessa di essere un personaggio molto affascinante e pieno di umanità (un'umanità fallace), denunciando a se stesso e alle poche persone che sente vicine, a voce alta proprio il contrario.
I dialoghi si alternano; frenetici quando i Mad Men sono a lavoro e si susseguono le falsità, i giochi di potere, le rivalità, sia tra uomini che tra donne, quasi filosofici quando il ritmo rallenta e si riflette sugli sbagli commessi, sul senso della propria esistenza, e la crisi citata prima acuisce questa sorta di necessità, quella di tirare le somme.
Interessante il ruolo della donna, sull'orlo del cambiamento ma ancora relegata in una posizione subalterna, costretta a subire continue angherie psicologiche e non solo; quello della Chiesa, opprimente (immaginatevi un sermone in una chiesa americana durante la crisi dei missili), fa capolino pure la musica, Bob Dylan, of course, il razzismo verso i neri, ancora veramente ai margini della società. I personaggi continuano a bere superalcolici e a fumare come ciminiere.
Sembra quasi certa una terza stagione, dopo l'incetta di premi. Attendiamo a braccia aperte.
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